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It's Only Make Believe

Regia di Arild Østin Ommundsen vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su It's Only Make Believe

di leporello
8 stelle

Il Paese delle Meraviglie (“Eventyrland”, in svedese) non è più una fiaba. Al contrario: la fatica e la sofferenza con cui  le mani di un fata l’hanno ideata, costruita, pitturata e deliziosamente arredata, fanno della cameretta della piccola Merete il  luogo più concreto e tangibile del mondo, il Meraviglioso Paese cui  Jenny (la protagonista del film, una Silje Salomonsen ostinata e convincente, dolcemente fragile nella forza che il destino le impone di tirar fuori) ha dovuto rinunciare il giorno in cui la fiaba incantata del suo Grande Amore si è spezzata, e che cerca disperatamente di ricreare, lasciandola in dote per la sua bambina.

 

L’incipit del film è in un bosco silenzioso. Jenny e Gary, grosse tronchesi pesanti appoggiate sulla spalla di lui, tentano di dissimulare il nervosismo con cui stanno aspettando qualcuno, sperando che costui arrivi prima che faccia buio. Per Jenny  è l’occasione giusta per informare il suo ragazzo del fatto di essere incinta. Gary ne è felice, spunta una piccola fede rubata a chissà chi che presto si infilerà (quasi) per sempre nel dito di lei, in segno di rinnovato e rinforzato amore, prima che i due procedano insieme all’operazione per cui si trovavano lì, da soli, senza che la terza persona si sia fatta viva. Forzandone le catene che la chiudono, i due giovani, introducendosi in una grande serra, oltre ad un grosso fucile trovano ciò che stavano cercando, ma al posto di “innocente” erba da fumare, lo zainetto che aprono è pieno di droga pesante. Roba grossa, più grande di loro. Jenny esita, propone di mollare tutto, Gary invece pensa che presto avranno un bambino (già discutono sul nome da dargli), che hanno bisogno di danaro, la faccenda puzza anche a lui, ma forse conviene rischiare, son soldi. Nella serra irrompe qualcuno, qualcuno che non è la persona che stavano aspettando. Spari...

 

La fulminante scena-ponte color pastello di tenerezze scambiate tra una madre e la sua bimba appena nata che porta dall’incipit al corpo del film, musicata solo col rumore di  un battito cardiaco, postata di pochi secondi tra il sangue di un attimo prima e le sbarre di una cella di un attimo dopo, è il primo sigillo di qualità di questo bellissimo film norvegese firmato da Arild Østin Ommundsen, che è inaspettatamente un uomo. Dico così perché ritengo sia raro per un regista maschio concepire e realizzare un film così marcatamente al femminile: non solo Jenny ne è la protagonista, ma sua figlia, la piccola Merete che compare assai poco nel film ne è la corrispondente “materia oscura”, ciò che la vivifica e le da energia, movimento, sussistenza. E il tutto è immerso in un mare maschile fatto di “lui” : Gary, il fidanzato/padre (mirabile come, dopo oltre 20 minuti di morte  apparente, il regista sappia resuscitarlo agli eventi); il tipo che li ha fregati (a cosa servono gli amici, se non a rifilarti un tubo Pirelli dritto sulla nuca nei momenti critici?); la banda dei delinquenti che la ricatta e se ne fa scudo e gioco, fino all’idraulico, povero cristo che non c’entra niente con la storia, se non per essere uno dei mille che cerca di trarre profitto dalla povera Jenny e dai suoi stati di necessità.

 

Così come fa la colonna sonora (bizzarro uso, come nella scena dello zoo-safari in cui una musichetta domenical-festiva si protrae nei fotogrammi successivi, drammatici e tesi, con una continuità anomala e suggestiva), così Jenny attraversa la sua ostinata Odissea di eroina reietta e innocente fino ad un conclusione solo apparentemente paradossale, un “Happy-Ending” non conclamato, sicuramente da interpretare senza che sia necessario prenderlo alla lettera (si dovrebbe dire: al fotogramma), incentrato non a caso più sulla danza liberatoria e vincente della piccola Merete che non sui gesti improbabili del suo sventurato padre.

 

Molto bello. 

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