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La strada

Regia di Federico Fellini vedi scheda film

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La recensione su La strada

di luisasalvi
10 stelle

(rispolvero un'analisi scritta più di mezzo secolo fa...)

Il Soggetto

 

 

Zampanò è un girovago che campa - in modo per lui soddisfacente - ripetendo di paese in paese un unico esercizio privo di fantasia e basato sulla sua forza erculea: spezza "con la semplice espansione dei muscoli pettorali, ovverosia del petto" una "robusta catena, dello spessore di più di mezzo centimetro, di ferro crudo, più forte dell’acciaio". Ogni tanto si compera da qualche famiglia bisognosa una ragazza che assolva a tutte le sue esigenze domestiche e che gli faccia da partner in una farsa sciocca, sempre la stessa, basata su errori di pronuncia ("ciufile" anziché fucile) ed altre simili banalità. Il racconto lascia indovinare che queste ragazze muoiono presto per la vita di stenti che conducono.

Il film inizia quando, dopo la morte di Rosa, Zampanò torna dalla famiglia di lei per comperarne la sorella Gelsomina, che la madre presenta come un po' tocca. Questa infatti non sa far nulla; ma è piena di buona volontà, e cerca di apprendere quanto Zampanò le insegna: a suonare il tamburo durante lo spettacolo della catena, a recitare con lui la farsa del "ciufile", a fare da mangiare. Deve anche adattarsi a dormire con lui; e questo fatto la investe di un ruolo di sposa, che essa cercherà di assolvere compiutamente e di cui sentirà anche istintivamente la dignità ed i diritti.

Gelsomina cerca di iniziare con Zampanò un rudimentale dialogo che serva ad una miglior conoscenza reciproca; ma ogni volta non solo il suo tentativo si scontra nella sorda resistenza di Zampanò ma si affianca a due tradimenti da parte di lui.

La seconda volta Gelsomina, addolorata, fugge; giunge ad un paese in festa, dove assiste ad una processione religiosa e ad uno spettacolo di funambolismo del "Matto". A sera viene ritrovata da Zampanò, percossa e costretta a ripartire con lui.

Più tardi Zampanò si inserisce in un circo devo lavora anche il Matto; questi incanta Gelsomina con i suoi esercizi acrobatici e con il suono del suo violino, mentre irrita Zampanò con i suoi continui scherzi, spesso decisamente cattivi. Dopo un litigio più violento degli altri Zampanò finisce in prigione per una notte, mentre il circo leva le tende. abbandonando lui ed il Matto; questi, che, a differenza di Zampanò, vien subito rilasciato perché, pur avendo provocato il litigio, non era armato, al ritorno sul luogo del circo che smobilita va a trovare Gelsomina e si diverte a farne risuonare tutte le corde del sentimento, mortificandola e poi illudendola, presentandole tante idee e propositi contrastanti. Questa accoglie e fa sua, di tutto quello sproloquio, una sola idea, che già covava nell'animo senza peraltro riuscire a darle forma di pensiero: che Zampanò "non pensa", "è come i cani", ma in realtà ha bisogno di lei; a suo modo le vuol bene, e soprattutto che "se non ci sto io con lui, chi ci sta ?". Questa sarà ormai la sua idea fissa, accettata consapevolmente.

Perciò accetta (manon lo chiede, mantenendo nell'ambiguità il ruolo che il Matto ha nelle sue scelte) di farsi portare dal Matto davanti alla prigione. Il mattino dopo, pur verificando ancora l'impossibilità di un dialogo, essa riprende umilmente la sua vita di prima con Zampanò.

In riva al mare e poi nel granaio di un convento di suore Gelsomina tenta ancora con maggior ostinazione di comunicare con Zampanò, ed ogni volta incontra un netto rifiuto; ma emerge chiaramente una certa rozza "comprensione" di lui nei suoi confronti, mentre lei ribadisce l'accettazione del suo ruolo, rifiutando la possibilità di tornare a casa sua o di restare al convento, come già aveva rinunciato ad andare con il circo o con il Matto.

Un giorno Zampanò incontra per la strada il Matto, che lo deride nuovamente e, all'approssimarsi minaccioso di lui, preso da paura lo aggredisce improvvisamente. Questi reagisce con violenza e ne provoca involontariamente la morte. Dopo un attimo di incredulità e di sbigottimento, Zampanò si affretta a simulare un incidente, mentre Gelsomina, inorridita, impazzisce.

Invano Zampanò cerca di riprendere la vita di prima, poi tenta di curare, con affetto misto a preoccupazioni pratiche, la salute di Gelsomina. Disperato di poterla guarire, finisce per abbandonarla, lasciandole un po' di denaro e la tromba su cui lei aveva imparato a suonare il delicato motivo che già suonava il Matto con il violino.

Anni dopo, Zampanò, che lavora nuovamente in un circo, viene a sapere incidentalmente che Gelsomina è morta. Addolorato, vuol restare solo, si ubriaca e finisce per recarsi, di notte, in riva al mare; dove finalmente si scioglie in pianto.

 

 

Il racconto

 

 

Il film approfondisce rispetto ai due film precedenti il racconto dei rapporti fra i due protagonisti, trasferendolo ai più bassi livelli sociali e culturali: Zampanò, più di Ivan e Fausto, è tutto preso dalle preoccupazioni pratiche, di lavoro o di comportamento sociale, adattando, con rozzo ma sicuro istinto, i suoi modi alle esigenze o alle aspettative dei diversi ambienti in cui si trova; mentre Gelsomina vive per quello stesso ideale matrimoniale che era stato di Sandra e cui, ancor prima, era pervenuta Wanda dopo la sua evasione nel mondo dei fumetti. Ma ora il rapporto stesso è seguito con precisa attenzione, anziché diluirsi in vaste e un po' autonome descrizioni ambientali: i vari ambienti che gli fanno da sfondo sono colti con esattezza, ma come incidentalmente, senza mai distogliere l'attenzione dai protagonisti; inoltre fra questi si inserisce la figura del Matto, che ne complica e insieme ne chiarisce l'evoluzione; infine le psicologie dei protagonisti, anche se espresse in forme culturalmente rozze, si arricchiscono e si approfondiscono notevolmente rispetto alle precedenti: mentre Sandra era fuggita da casa per il tradimento di Fausto, Gelsomina soffre e piange, sì, per il tradimento, ma fugge solo dopo, perché non riesce a parlare con Zampanò; e, dopo la prigione ed il chiarimento della propria decisione, continuerà nei suoi sforzi e soffrirà ancora per il fallimento dei suoi tentativi, anche se non ci saranno tradimenti; analogamente la finale presa di coscienza di Zampanò è spiritualmente superiore al generico rinsavimento matrimoniale di Fausto.

La continuità del soggetto e l'approfondimento del rapporto è necessario per l'evoluzione della tematica felliniana; il suo spostarsi in un ambiente di sottoproletariato nasce forse anche da qualche interessante esperienza personale del regista oltre che da residui neorealistici; lo spostarsi dell'interesse in direzione vagamente spiritualistica può derivare dalla precedente esperienza di collaborazione con Rossellini e sarà presto abbandonata, assieme al gusto per il sottoproletariato, perché sostanzialmente estranea all'arte di Fellini. Ma intanto il coincidere dell'approfondimento con la schematizzazione necessaria a render vero quello anche in psicologie rozze sollecita nel lettore e nel critico una quantità di riferimenti simbolici (non a caso il film ha trovato un enorme successo proprio in Francia): quel rapporto complesso, ulteriormente complicato dalla presenza del Matto che assume un ruolo importante ma che ambiguamente non si specifica se essenziale oppure no, si presta, nella scheletrica riduzione cui è sottoposto per potersi incarnare in una scema un bruto ed un. matto, ad esser vestito di panni diversi. Fellini sembra qui avventurarsi in quel terreno vagamente speculativo, simbolico, allusivo, caro a Bergman ( e sono netti i riferimenti di tutta la parte centrale de La strada a Vampata d'amore, che però, pur essendo uscito l'anno precedente, sarà distribuito in Italia solo molto dopo), che presto abbandonerà: il soggetto prosegue una linea che continuerà sempre e sarà sua, ma Fellini non ha ancora chiarito il suo mondo, e La strada costituisce un tentativo, sotto molti aspetti sbagliato, di chiarimento.

 

 

La struttura

 

La struttura del film non è così chiara o lineare come potrebbe sembrare e come pretende Taddei (che ha studiato a lungo il film e dice di aver contribuito alla sua realizzazione con consigli e suggerimenti dati a Fellini), che la schematizza arbitrariamentetre parti, la cui interpretazione, priva di agganci al film, è comunque viziata in partenza, oltre che da pregiudizi ideologici, dal fatto di vedere il film come "storia di Gelsomina e di Zampanò" anziché come storia del loro rapporto.

In realtà si può distinguere, nel film, un'introduzione che narra il nascere occasionale del rapporto e delinea le posizioni relative dei due protagonisti: Zampanò sicuro di sé, della sua ricchezza, della sua arte, della sua autorità, delle sue capacità "didattiche" e di comportamento; Gelsomina timida, incapace e consapevole dei propri limiti, ma volonterosa, sensibile, ricettiva, ubbidiente.

Con la prima notte inizia il loro vero rapporto: dopo Gelsomina gli sarà compagna, assistente e moglie, consapevole dei propri doveri, ma anche dei propri diritti al dialogo. Si ripresenta così a livello estremamente istintivo quella distinzione delle prospettive matrimoniali che sono dell'uomo e della donna borghesi: quello teso al lavoro, sceglie una compagna solo per esigenze pratiche; questa fa del marito la ragione della sua vita e ad esso si dedica totalmente, chiedendo in cambio solo qualche parola e, se possibile, la fedeltà. Tale distinzione è presentata così come naturale ed ineliminabile, ma non costituisce un'esplicita affermazione tematica, bensì resta un inconsapevole presupposto da cui parte il film. Quando Fellini ne prenderà coscienza (e forse il film stesso lo ha aiutato in questo), rifiuterà tale presupposto e, in Cabiria, partendo dalla constatazione sociologica dell'esistenza, nella donna italiana, di tali ideali, giungerà a condannarli, almeno nella loro forma alienante di miti.

Il terzo momento è dato dalla fuga di Gelsomina delusa: fuga non voluta, ma semplicemente minacciata a Zampanò per costringerlo a parlare. Solo l'ostinato, indifferente rifiuto di lui la costringe, contro voglia, a mettere in pratica la minaccia. Gelsomina è dunque fin d'ora decisa alla fedeltà coniugale (altro presupposto psicologicamente vero in certi ambienti, ma che qui è presentato come connaturato all'essere femminile). Quando Zampanò la trova, la sua reazione non è di fuggire e nascondersi, ma chiaramente solo di sfuggire alle botte e ripararsene; il suo dichiarato rifiuto di tornare con lui è una naturale, coerente continuazione della minacciata fuga del mattino: un impulso polemico e almeno inizialmente motivato dalla speranza di creare così un'occasione di dialogo (ed è necessario, ma non certo sufficiente, non essere sposati - come non è Padre Taddei - per non capirlo). La breve fuga dunque continua ancora la linea del rapporto iniziato in precedenza, rappresentando un più deciso ma altrettanto inutile tentativo da parte di Gelsomina per creare un dialogo. A ciò si aggiunge, ora, la prospettiva di scelte diverse; ma la varietà del mondo, verso cui Gelsomina è sempre aperta (a queste sue aperture si limita in questo film l’attenzione ai vari ambienti umani, che in genere è fondamentale in Fellini: conferma di come il film costituisca, per il chiarimento di sé cercato dall'autore, un passo falso), si sviluppa in una breve parabola che dalla magica esaltazione iniziale si evolve fino alla triste solitudine della sera, indicando implicitamente una condanna di fatto, da parte di Fellini, del tentativo di evasione.

Nel circo prende invece corpo nettamente una nuova affascinante prospettiva: quella del Matto, che suona motivi sentimentali sul suo violino, compie acrobazie entusiasmanti, la fa lavorare con sé in piacevoli spettacoli e la tratta gentilmente (sia pure con ironia; ma lei non se ne accorge). La posizione del Matto di fronte a Gelsomina ed ai rapporti di questa con Zampanò è, fino alla scena del sassolino, la stessa - a diversi livelli culturali - che fu dello sceicco bianco di fronte a Wanda e che sarà di Alberto Lazzari di fronte a Cabiria e dello spagnolo José di fronte a Giulietta: di alternativa sentimentale, affascinante anche per quel che di irraggiungibile, di irreale essa rappresenta rispetto alla piatta banalità della vita attuale (e non capisco come qualche "critico" possa sostenere invece la derivazione di Zampanò dalla figura dello sceicco bianco); ed è nella logica di tali situazioni, oltre che delle donne felliniane, che l'evasione sognata resti tale e che venga sempre scelta la soluzione matrimoniale; il progresso è nel fatto che la soluzione matrimoniale è accettata da Wanda solo circondando il marito di quell'alone mitico che prima avvolgeva Fernando Rivoli (e giustamente il tono del film è di farsa amara), mentre da Gelsomina in un contesto di difficile comunione umana da cercare insieme (e per giunta senza la collaborazione dell'uomo, che in Fellini manca sempre: perciò giustamente il film ha un corso tragico, almeno fino all'abbandono di Gelsomina impazzita); dopo si chiarirà anche, a livello istintivo per Cabiria e di coscienza perGiulietta, la non essenzialità di questo rapporto umano per una realizzazione autentica della vita, che può avvenire comunque.

Sotto questo aspetto dunque il film rappresenta un necessario punto di passaggio per l'evoluzione successiva. Necessario, ma sostanzialmente estraneo a Fellini, che generalmente rifiuta la dedizione totale a qualunque ideale: estraneo, anche se non in contraddizione con il suo mondo, poiché nell'esclusione di ogni affermazione di principio si ammette la possibilità-- sia pure eccezionale - di una realizzazione autentica della vita (unico valore vero) anche col sacrificio di questa ad un ideale che, preso in sé, è semplice mistificazione alienante; così come poi sarà possibile perfino con il suicidio, che pure per definizione è uccisione della vita ed è perciò quasi sempre condannato da Fellini come soluzione radicalmente alienante. E, si noti bene, non è necessario, per togliere la contraddizione, ricorrere alla fede in una vita ultraterrena: perché la coerenza artistica non significa generalmente coerenza logica (e certamente non in Fellini).

Tuttavia in questo film (l'unico, anche questo è significativo, in cui solo Pinelli ha collaborato estesamente alla sceneggiatura, mentre Flaiano è intervenuto solo in un secondo tempo) probabili influenze esterne (in particolare Padre Taddei) hanno provocato qualche confusione in Fellini, che ha finito per aggiungere e almeno modificare il celebre episodio del "sassolino", ponendo negli sproloqui del Matto alcune suggestioni che, pur senza imporre (come invece molti vorrebbero) interpretazioni diverse, ne facilitano il sorgere. In realtà anche questo episodio, a ben vedere, non si pone in contrasto con il resto del film: il Matto continua a divertirsi alle spalle di chiunque, sia pur mescolando all'ironia quel po' di sentimentalismo (distaccato, ironico anch'esso) che è nel suo carattere e che mette perfino con Zampanò (nell'incontro successivo: "sei venuto ad aiutarmi ? (...) Anch'io aiuterò te, un giorno o l'altro"; e, prima, i complimenti ironici che fa a Zampanò sono gli stessi che fa a Gelsomina; solo che questa li prende sul serio e se ne commuove, anche perché per lei la stessa ironia è meglio dell'ostinato mutismo di Zampanò); del resto lo stesso candore di Gelsomina provoca in tutti un po' di tenerezza. Inoltre, come fa il giocoliere con la fune e col violino, così lo fa con le idee: le lancia, le riprende, le sostituisce con altre diverse o opposte. Sarà Gelsomina a scegliere quelle che più le si confanno, quelle che già aveva istintivamente e cui il Matto l'ha aiutata a dar forma e parole; anzi, è lei stessa a fornirgli ogni volta il tema su cui parlare, così presa dalla tentazione di lasciare Zampanò per seguire il circo; tentazione a sua volta limitata dal suo senso di incapacità a cavarsela autonomamente (è in questa, mai dichiarata ma implicita, incapacità di autonomia di Gelsomina il punto di maggior ritardo del processo di chiarificazione di Fellini, il cui mondo è invece fondato sulla autosufficienza di chiunque, basata su una libera totale apertura verso il mondo della natura e degli uomini).

Le poche e incoerenti parole di Gelsomina sono la rozza espressione di una complessa situazione psicologica: Gelsomina vorrebbe ed ha sempre voluto restare con Zampanò (lo si può verificare sempre, anche nell'episodio del circo, quando è più sensibile al fascino del Matto, ma pur resta ancorata alle sostanziali ragioni del suo uomo, evidenti sotto la crosta burbera che lo fa sembrare in torto; e soprattutto è espresso al momento della fuga con tanta evidenza da farne perfino scapitare la delicatezza della resa artistica), ma è irritata per i modi bruschi ed inumani con cui è trattata, e mortificata per il fatto di non riuscire nei suoi tentativi di dialogo (ripetuti ancora, non senza delicatezza, la sera prima, al circo, dopo un litigio di Zampanò con il Matto: perciò, subito dopo, il violino tentatore del Matto esercita nuovo fascino su di lei). Per questo suo costante senso di incapacità a penetrare nell'animo di Zampanò, Gelsomina continua a chiedere notizie della Rosa nei momenti di incertezza, nei tentativi di dialogo: ha sempre sentito la sua netta inferiorità rispetto alla sorella (si ricordi la presentazione che ne vien fatta dalla madre: "Questa non è come la Rosa") e vuol sapere come si comportava quella per imitarla. Ma neppur questo riesce ad ottenere da Zampanò. Così l'irritazione per la sordità di lui si unisce alla mancanza di fiducia in se stessa e la spinge alla rinuncia: come rinuncia si presenta la possibilità di andare con il circo, così come momentanea rinuncia alla vita è per lei l'abbandonarsi al sogno irreale di andare col Matto, così irreale che non ha neppur senso chiedersi se in pratica lo accetterebbe, ed è ovvio che ogni volta essa neppur risponda alle offerte che quello ripetutamente le fa; ma è naturale che proprio al Matto essa confidi i propri incerti propositi di fuga con il circo. Solo che a questo punto riappare il motivo di fondo della sua rinuncia: se non è capace a vivere con Zampanò, non sarà neppur capace a vivere nel circo, perché la capacità di vivere è una sola, e se c'è vale in qualsiasi situazione e rende inutile ogni cambiamento (è questo il motivo di fondo di Fellini; ma qui esso sembra implicito ed inconsapevole anche per Fellini). Perciò Gelsomina esplode "se vado con loro, è lo stesso; se vado con Zampanò, è lo stesso;cosa cambia andarecon loro? Io non servo a nessuno, ecco! Auffa! Mi sono stufata di vivere!". Ciò fornisce al Matto l'imbeccata per la sua nuova e più celebre tirata sul fatto che "tutto quelle che c'è a questo mondo serve a qualcosa (....) anche questo sassotto (...) anche tu servi a qualcosa, con la tua testa di carciofo". E' questo il discorso letteralmente più estraneo a Fellini, che è lontano da ogni finalismo; ma che pure nella sostanza (tolto cioè il concetto letterale del "servire") risponde a quella preziosa ricchezza del mondo felliniano, in cui tutto ha valore e tutto è godibile. Del resto anche Gelsomina ritiene, di tutte il discorso, solo quanto le serve a darle fiducia; una maggior critica a Zampanò ed un maggior valore di sé, sufficiente a farle affrontare con rinnovato coraggio la vita; è questo il senso della frase che essa ripeterà ancora durante la pazzia "se non ci sto io con lui, chi ci sta?": dove non c'entra alcun generico finalismo (che in qualche modo Gelsomina servisse a Zampanò era già evidente anche a lei, dal momento che l'aveva pagata, e poi inseguita e costretta a seguirlo).

Concludendo, dunque, l'episodio suggerisce alcune interpretazioni devianti che devono aver lasciato perplesso Fellini; ma in pratica questi, con sicuro istinto anche se senza chiara coscienza, riesce ugualmente a mantenersi sui binari: le incertezze ci sono, e ad esse si sono appigliati tanti critici, per superficialità e per personali esigenze ideologiche; ma dietro ad esse è possibile scorgere una linea complessivamente coerente, anche se non centrale, del mondo felliniano, almeno alla luce delle chiarificazioni operate dai film successivi (date che queste ormai ci sono, non posso dire se sarebbe stato possibile o agevole anche senza di esse riconoscere tali linee direttamente nel film).

Ma le incertezze seno dovute, più che alle parole del Matto, al rilevante peso strutturale che questi assume nel film; infatti esso non rappresenta solo quell'irreale evasione onirica e quell'aiuto a chiarire le proprie esigenze e la propria posizione, di cui si è detto (ma già questo è troppo: nei film successivi, più lucidi, le due figure saranno distinte: per Cabiria nell'attore e nell'ipnotizzatore, per Giulietta in José ed in Bishma rispettivamente: simboli, i primi, della tentazione onirica; espressione, i secondi, del mito femminile del marito); esso ha anche una forte incidenza narrativa, provocando con i suoi frizzi le violente reazioni di Zampanò; è ancora lui che conduce Gelsomina e la motocicletta all'uscita della prigione (ed è mantenuta nell'ambiguità perfino la sua influenza sulla scelta di Gelsomina, che pure avrebbe potuto essere chiaramente spontanea): infine è la sua morte a determinare tutta la conclusione del film. Sono incidenze narrative abbastanza esteriori alla linea centrale del film, che è data dall'evoluzione del rapporto fra i due protagonisti o non dai dettagli narrativi in cui tale rapporto si realizza; perciò non è detto che esse assumano un rilievo anche tematico. Ma sono così notevoli da lasciare almeno suggerire un tale rilievo; e non a caso la complessità strutturale che esse determinano è eccezionale in Fellini ed appare solo in questo film che anche sotto altri aspetti si pone come errato tentativo di chiarificazione sia stilistica sia tematica sia perfino narrativa (in qualche modo) ed ambientale: il film lascia al Matto un certo spazio per suggestioni diverse, non ancora chiarite, e quindi non accettate né rifiutate (e comunque in seguito saranno rifiutate) ma, appunto, semplicemente tentate, come in prova.

Rimandando a dopo un tentativo di analisi di tali suggestioni (che sarà comunque incerto, perché non chiare queste neppure a Fellini, e subito abbandonate), concludiamo ora l'analisi strutturale del film.

Questo riprende subito il rapporto tra i due protagonisti; e, si noti, lo riprende esattamente come avrebbe potuto farlo dopo il ritrovamento di Gelsomina al termine della sua fuga, saltando interamente il lungo episodio del circo: Gelsomina prima capisce il tradimento di Zampanò, e ne soffre e fa il broncio; poi chiarisce meglio il bisogno di comunicazione, gliela chiede invano e per protesta, per scuoterlo, se ne va ("e non è per il lavoro (....) è per voi !"). Ora è sempre più consapevole del suo affetto ("ora la mia casa è con voi") e della sordità di lui ("siete una bestia!" e poi, al convento "voi

non pensate ... dovete pensare a queste cose!"): è lei, adesso, che ha qualcosa da insegnare a lui e se ne sente superiore. Ciò era nella logica del rapporto stesso, e l'episodio precedente non fa che descriverne, in modo un po' fumoso e ambiguo, un momento evolutivo che avrebbe anche potuto restar taciuto, tanto era implicito nel momento precedente.

Ma Zampanò (anche questo è naturale, in un primo momento) non coglie ancora le esigenze di Gelsomina, e continua a sentirsi lui superiore, anche se, poco per volta, incomincia ad apprezzarla maggiormente (c'è un certo orgoglio mascherato di rudezza nel suo invitare Gelsomina a suonare la tromba per la suora; e non è più orgoglio per le sue capacità didattiche, poiché lei ha imparato da sola). Ancora una volta è ovvio che le dolci insistenze e la squisita sensibilità di Gelsomina sciolga in lui un certo sentimento di affetto e forse di inferiorità umana nei confronti di lei, dapprima inconsapevole e poi anche ad un certo livello di coscienza.

Ancora una volta, perciò, l'incontro con il Matto e la morte di lui non sono essenziali all'evoluzione del racconto; anche se il fatto induce in Zampanò un senso di colpa, soprattutto nei confronti di Gelsomina che ne è impazzita, e perciò di inferiorità "spirituale" o "morale" (in senso, però, tutto particolare) nei suoi confronti; mentre la pazzia di lei giustifica il suo intenerimento ed il sorgere istintivo dell'affetto. Il fatto esterno dell'incontro con il Matto è perciò solo un felice accorgimento narrativo che serve a motivare nel racconto filmico un'evoluzione che psicologicamente trova già in sé le sue motivazioni ma che, senza occasioni narrative, si ridurrebbe, nel racconto, a banale constatazione.

Il resto del film, scandito ancora in due momenti, narra quella naturale conclusione del rapporto di cui si è detto: prima l'evidente ma ancora inconsapevole sciogliersi dell'affetto in Zampanò, fino al momento in cui egli abbandona Gelsomina per poter continuare a lavorare, ossia per sopravvivere; poi la presa di coscienza di questo affetto ed il pianto che la esprime. Solo in quest'ultimo momento appare anche, appena accennato, il tema della solitudine di Zampanò, che non si pone certamente come tema centrale - e neppur secondario - del film, poiché risulta appena ora, ed anche qui in modo particolare: Zampanò vuole restare solo, perché è triste per il ricordo di Gelsomina e la sua radicata abitudine alla recitazione sociale gli impedisce di manifestare ad altri la sua tristezza, il suo stato d'animo. Non solo, ma vuole restare solo fisicamente, lontano da occhi estranei, proprio perché ha raggiunto il perfezionamento del rapporto umano con Gelsomina, quella "esperienza comunitaria tra un uomo e un altro" che giustamente Fellini stesso riconosce come tema del film.

Dunque, in realtà, proprio ora non è più solo in senso spirituale; e comunque, anche volendo attenersi alla solitudine materiale, non è triste perché solo, ma viceversa; e la solitudine non è la sua condanna né una pretesa "condizione esistenziale", ma è cercata, per raccogliersi nell'intimità del ricordo. Se poi ci si vuol riferire alla precedente ostinata chiusura di Zampanò, allora non ha più senso parlare di "dramma" della solitudine, poiché per Zampanò la chiusura costituisce una difesa, serve a mantenersi tranquillo nel suo lavoro ("voglio solo lavorare") senza cedimenti sentimentali (in una situazione sostanzialmente simile, pur nell'enorme differenza culturale, a quella di Isak Borg del Posto delle fragole di Bergman, al cui proposito anche si è parlato spesso di dramma della solitudine): tanto che il solito B. Rondi, che vede in Gelsomina ("trita, dolcificata, vana") solo del sentimentalismo di maniera e che comunque sembra ritenere intoccabile e sacra l'alienazione del lavoro (perché non vedo come possa definirsi diversamente la situazione di Zampanò), dichiara solennemente (a pagina 139 del suo libro su Fellini) che "ogni spettatore di adulto senso critico, provvisto di maturi interessi, non può che solidarizzare con Zampanò, restituendo mentalmente Gelsomina al rango ufficiale di agente provocatore": dimostrando così di fatto, a quegli altri critici che piangono sulla solitudine di Zampanò, che chi si trova in tale
situazione, non che soffrire di solitudine, ci si grogiola dentro, assai contento dei propri "maturi interessi", e, come Zampanò stesso (riprova della straordinaria verità artistica e psicologica del personaggio felliniano, a smentire altre critiche rivolte in questa direzione), considera "provocazione" ogni tentativo di comunicazione spirituale, o anche semplicemente umana.

 

 

Riassumendo quanto risulta dall'analisi strutturale, abbiamo che:

il film narra la storia del rapporto fra Gelsomina e Zampanò: incontro e presentazione dei due protagonisti; Zampanò, maestro di un mestiere, lo insegna alla volenterosa Gelsomina; questa, insoddisfatta di una semplice convivenza materiale, cerca un rapporto umano e giunge a minacciare di andarsene, nel tentativo di realizzarlo; costretta dall'indifferenza di lui (dovuta anche al fatto che egli non crede alla minaccia), se ne va; costretta con la forza a tornare da lui, ne scopre un fondo umano proprio nella sua debolezza ed insieme -.forse grazie al Matto - acquista maggior fiducia in sé e riconosce l'affetto che li lega; ripreso il loro vagabondare, manifesta esplicitamente il proprio affetto mentre Zampanò ancora rifiuta di ammette re anche a se stesso o di lasciare trapelare il proprio, anche se ormai incomincia ad apparire che lo fa non per sordità ma per una precisa anche se inconsapevole scelta; l'accidentale morte del Matto e la conseguente pazzia di Gelsomina lo privano della sua sicurezza e ne fanno emergere in tutta evidenza un suo rozzo affetto per la povera ammalata, anche nel momento in cui la abbandona; infine, alla notizia della sua morte, il dolore lo conducefinalmente alla consapevolezza del legame affettivo che li univa.

Il film mette dunque anzitutto a tema la possibilità di un rapporto umano autentico; che è un caso particolare di quella ricerca di autenticità che è centrale in Fellini ma che non si ripresenterà più, almeno in modo centrale, in questa forma "personalista". Tale comunicazione possibile è vista come positiva: è bene cercarla; anzi, il film sembra dire che è essenziale cercarla: altro elemento che non solo non tornerà, ma sarà poi sempre negato, poiché nulla è essenziale, per vivere una vita autentica (neppure la vita stessa, arriva a dire Satyricon). Inoltre, secondo Fellini[1], tale comunicazione, "soprannaturale e personalista", costituisce "il modo di rompere questa solitudine (tra persona e persona)"; ma nel film la solitudine è sentita - semmai -solo da Gelsomina, proprio perché essa sente il bisogno di comunicare con il proprio uomo, e non viceversa; comunque i film successivi saranno un consapevole superamento sia della prospettiva del film sia di quella (inversa) qui dichiarata dall'autore; quanto all'aspetto "soprannaturale" del rapporto, Fellini non chiarisce il significato che dà alla parola, ma di solito parla di "spiritualità", o il film stesso suggerisce di intenderla in questo senso: non c'è, nel rapporto descritto nel film come in generale nella produzione felliniana, alcun senso religioso o trascendente, mentre è costante l'esigenza di una totale apertura spirituale verso la vita, una festosa partecipazione a tutti i suoi aspetti, che qui è già accennata in Gelsomina: è questo l'unico modo di intendere il termine sovrannaturale in riferimento a questo film e, a maggior ragione, in generale in Fellini. Analogamente il "disegno provvidenziale" di cui parla Pinelli, forse con riferimenti religiosi, esiste indubbiamente anche in Fellini; ma questi ci tiene a precisare (ed indipendentemente dalle sue precisazioni è evidente nei suoi film, ed anche in questo, nonostante le ambiguità rilevate in precedenza) che la provvidenza di cui parla non è divina, bensì della vita.

 

Il personaggio di Zampanò, nella maggior parte del racconto, in cui è maggiormente seguita Gelsomina, è uno dei soliti mariti convenzionali e indifferenti, dediti solo al lavare, come Ivan, e poi come Giorgio marito di Giulietta; solo quando, nell'ultima parte, passa in primo piano, appare più sfumato o diventa evidente il richiamo che su di lui, come su tutti i protagonisti maschili, esercita la figura femminile di Gelsomina; e, sia nella sorda alienazione dominante nel film, sia nella finale disponibilità al richiamo della spiritualità e dell'autenticità, di cui si fa simbolo Gelsomina (ma non più che simbolo, qui come negli altri film a protagonista maschile prima di 8 ½), ripete e sviluppa una tematica tipica di Fellini.

La figura di Gelsomina, così sensibile ad ogni aspetto della natura e della vita, è la prima netta realizzazione, in questo senso, di quella partecipazione "spirituale" alla vita del tutto che costituirà poi non solo il centro del mondo felliniano ma il carattere essenziale del suo modo di vedere. Anche la sua dedizione a Zampanò prosegue coerentemente l'evoluzione delle protagoniste femminili.

Il Matto ripete nella vicenda il ruolo di tentatore affascinante ma non preso sul serio. Inoltre però acquista un peso strutturale e narrativo sproporzionato a tale ruolo, che invita ad attribuirgli particolari valori simbolici.

Stilisticamente il film si adatta felicemente all'ambientazione della vicenda ed all'aspetto tragico che essa assume. In queste senso esso si presenta sostanzialmente estraneo alle più vive caratteristiche di Fellini, ma raggiunge ugualmente una sua coerenza e validità artistica.

Esteticamente (sempre per quel che riguarda la struttura complessiva, poiché dell'aspetto estetico dei singoli momenti parlerò dopo; ed a completamento di quanto si è già detto) il film è complessivamente riuscito, ma pecca in tutta la lunghissima sequenza del circo, bellissima in sé ma sproporzionata all'importanza che essa ha per la vicenda o per la tematica del film.

 

Il nucleo centrale del film, costituito dal rapporto tra i due protagonisti, è così chiaramente inserito nella linea evolutiva della coppia felliniana, che non ha senso cercare in essa ulteriori significati simbolici o allusivi; allo stesso modo come non ha senso cercarli nei singoli personaggi (a parte il Matto), che ripetono e sviluppano certi tipi ormai noti e ben definiti (anche so l'impresa è stata variamente tentata, sempre con assurdi risultati). Invece la relazione triangolare o quelle tra ognuno dei protagonisti ed il Matto sono atipiche, in Fellini, e non ben delineate essendo inessenziali alla vicenda o al tema del film; perciò si prestano meglio, se non a precisi riferimenti allegorici, generalmente estranei al regista, almeno a confronti che possono essere significativi: adattando un metodo proposto - in ben altro contesto e su precise basi scientifiche - da Goldman, di ricerca delle "strutture significative" che si ripetono nelle opere d'arte come nella società. E' chiaro però che qui, la ricerca ha basi puramente impressionistiche (proprio ciò che giustamente Goldman condanna), perché non rispecchia affatto la vera struttura del mondo felliniano ma solo confuse ed incerte suggestioni che Fellini propone, in via di ipotesi; ho già tentato, parlando in generale di Fellini, di precisare la struttura globale in cui la sua opera si inserisce, ed ho indicato nelle pagine precedenti come anche questo film, nonostante alcune incertezze, rispecchi fondamentalmente la stessa struttura: è questa l'unica che conta, da un punto di vista scientifico. Le altre possono servire a sottolineare la ricchezza tematica - a livello allusivo - del film, ma anche a precisare alcune delle diverse interpretazioni che ne sono state fatte ed a relegarle nel limbo delle idee abortite e subito abbandonate perché non congeniali all'autore.

 

 

Per quel che riguarda il rapporto tra Gelsomina ed i Matto si è già detto abbastanza, per chiarire il senso generale del film; e si è già precisato che il Matto costituisce per lei un sogno irreale, mistificato, ma che non arriva neppure ad essere alienante - se non come tentazione - perché non creduto. E' così preciso, questo rapporto, che non ha più senso andare a cercare nel Matto un simbolo angelico (come han fatto molti, banalmente ispirati alle ali d'angelo che egli porta la prima volta che appare a Gelsomina) o, viceversa, diabolico (come fa Geneviève Agel, in aperta polemica con l'interpretazione precedente: sottolineandone giustamente gli aspetti negativi e di tentazione alienante, ma trascurando, all'opposto, la funzione positiva - non importa quanto essenziale - che esso pur ha nella vicenda di Gelsomina).

I rapporti fra Zampanò e il Matto sono più incerti e meno autonomi, poiché sempre legati a Gelsomina, meno giustificato quindi un approfondimento di una relazione binaria in questo senso: dove si è spesso parlato di opposizione fra bestialità ed intelligenza, fra materia e spirito, o altre simili opposizioni, che non trovano pieno riscontro nel film non solo per la maggior simpatia che il regista – e Gelsomina - dimostra spesso per Zampanò nei suoi litigi con il Matto (e che, in sé, potrebbe essere una rousseauianana esaltazione dello stato di natura, che a volte sembra emergere in Fellini), ma, soprattutto perché in ultima analisi dimostra una maggior apertura spirituale Zampanò che non il Matto, che si limita a sfarfallare e giocare con le parole e con le idee, senza mai giungere alla spiritualità; più valido, semmai, parlare di intellettualisno, a proposito del Matto, e comunque in questo caso non si può prescindere dalla funzione di Gelsomina, riportandolo quindi ad una struttura ternaria. Qualche suggestione presenta anche il confronto di Zampanò con Caino; ma esso è ambiguo, poiché da un lato la parte di Abele sarebbe rappresentata dal Matto, che ne viene ucciso (e in questo senso il film è "dalla parte di Caino"): ma, mancando ogni ulteriore approfondimento del confronto, esso si riduce al puro fatto dell'omicidio; mentre dall'altro lato sembra più rigorosa la ricostruzione in Zampanò-Gelsomina del rapporto Caino-Abele, simbolo a sua volta dell'opposizione tra popoli nomadi e popoli sedentari, tra forza bruta e sensibilità, tra isolamento e comunità (opposizioni evidenti nei due protagonisti, con le evoluzioni successive: gli apporti reciproci, e la finale conversione, "assimilazione", del nomade ...), eventualmente complicata dall'inserimento, nel rapporto, del Matto, che con il suo comportamento minaccia di provocare urto e separazione fra i due, in una specie di blasfema riproduzione, in ottica capovolta, dei favori accordati da Dio ad Abele. Sarebbe possibile sviluppare numerose analogie, ma il confronto appare subito secondario, per la precisione con cui è visto un diverso tipo di rapporto fra i protagonisti e per il disinteresse "culturale" di Fellini in genere.

Maggior interesse presentano invece alcune strutture ternarie, rifacentesi tutte, in sostanza, alla struttura dialettica di tesi (Zampanò) antitesi (Matto) e sintesi (Gelsomina), in cui è la tesi che, nel fertile contatto con la sua antitesi (riconosciuta anche figurativamente, sia pure in modo forse un po' ingenuo, dalla Agel nell'opposizione fra terra e cielo in quanto è raro che nel film le inquadrature su Zampanò abbiano per sfondo il cielo), evolve verso la sintesi. Una traduzione poco convincente di tale struttura si rifà ancora alla Bibbia: al rapporto tra Adamo ed Eva, in cui il serpente tentatore scuote la donna, "qui est vie, mouvement, et qui risque d'engendrer le chaos", che mette in crisi la stabilità del mondo di Zampanò ma che proprio così finisce per "purificarlo e redimerlo".

Una diversa traduzione, più significativa perché suggerita a volte anche da Bergman (con cui Fellini ha molti punti comuni), è quella che vede nei tre il rapporto fra carne, intelletto (in senso kantiano, non tomistico, per intenderci, ma in realtà al di fuori di ogni categoria filosofica) e spirito: dove l'intelletto (intellettualismo) si pone in netta opposizione alla carne, ma così facendo si preclude anche la possibilità di avvicinarsi alle spirito; e tuttavia, per la sua capacità di maneggiare concetti e parole, è in grado di aiutare lo spirito a chiarirsi ed a recuperare la carne, anche se il recupero esige il rifiuto dell'intelletto stesso, che viene abbandonato a se stesso (come Ester ne Il silenziodi Bergman) e ucciso (come il Matto ne La strada). In entrambi i film lo spirito è rappresentato dal più ingenuo dei tre personaggi, il più fresco, il più curioso di tutto, il più libero dalle alienazioni del mando; e questi (il bambino de Il silenzio come Gelsomina) cerca a lungo, invano, a livello inconscio, una comunicazione con il terzo personaggio, che simboleggia la carne, e finisce per partire con lui e per comunicargli il messaggio spirituale che proprio il personaggio intellettuale l'ha aiutato a esprimere, a "tradurre" in parole (non a caso, ne Il silenzio, Ester fa la traduttrice).

Pur precisando i limiti, che sono in Fellini la mancanza di una lucida sistemazione concettuale ed il rifiuto di ogni religiosità (da sostituire però con una immanente religione della vita), è possibile ancora riconoscere qualche analogia con la struttura kierkegaardiana di vita estetica, etica e religiosa (stupisce che non l'abbia fatto Aristarco). Il Matto è il tipico rappresentante della vita estetica vuota e fatua, ricco di talenti in cui non crede e che deride, e di pensieri su cui pure sfarfalla incostantemente senza mai prenderli sul serio (fa difficili esercizi acrobatici e ci ride sopra; suona bene il violino, in modo sentimentale, ed interrompe a metà tema, mentre Gelsomina lo ascolta estasiata, per fumarsi una sigaretta; poi con Gelsomina stessa preparerà un numero che è appunto basato sulla derisione della proprio musica; infine anche per quel che riguarda le idee, alla sera ne sputerà tante con Gelsomina, ma divertendosi a fargliele accettare per poi rimangiarle, in una girandola spensierata, di puro virtuosismo). Di fronte al rischio dispersivo di una tale vita, è necessario operare una scelta etica che concentri definitivamente l'interesse su un unico punto, qualunque esse sia: Zampanò ha scelto il lavoro, la serietà professionale, e si rifiuta di ascoltare qualunque tentazione che lo distragga dalla sua scelta ("chiedo solo di lavorare in pace"); la sua posizione è indubbiamente più piatta, banale, meno suggestiva; ma è sostanzialmente più positiva, e perfino più forte, poiché sa resistere al desiderio affascinante ma pericoloso di "provare le vertigini" (non a caso il Matto è un funambolo). Il fatto poi che il Matto riesca invece nel suo intento, di distoglierlo dal lavoro e di fargli perdere le staffe, è indice di quella superiorità che pur c'è anche, nella vita estetica, rispetto a quella etica: superiorità in qualche modo "speculativa", poiché consiste nel riconoscimento (non importa quanto istintivo) che la scelta aperta dall'uomo etico non è più valida di altre, ed anzi può esserlo di meno. E' questo il dramma di Kierkegaard allo stadio etico, come è il dramma di Gelsomina al circo: se moralmente è da scegliere Zampanò, è tuttavia innegabile che il Matto è più affascinante e per certi aspetti più valido. Ma proprio questa relativa validità, che consiste nel rilevare l'impossibilità di porre un centro assolutoad una vita mondana (e con ciò toglie senso alla
vita etica, che pretende appunto di dare un centro mondano alla vita), rende necessario il "salto nel buio" della religione, che, fornendo un centro superiore, soprannaturale (e nel farlo distrugge prima il centro della vita etica: distrae Zampanò dal suo lavoro come impone ad Abramo di uccidere Isacco), consente successivamente di tornare al mondo con un nuovo atteggiamento ormai onnicomprensivo senza essere dispersivo. Ho già precisato che per Fellini quel centro è impersonale, immanente, anche se superiore ai singoli elementi mondani perché tutti li comprende (solo in questo senso "soprannaturale"); per cui non si può parlare in lui di vita religiosa, bensì solo di vita autentica. Inoltre in Fellini manca ogni formalizzazione filosofica; per questo, della struttura kierkegaardiana ho colto solo l'aspetto più facile, intuitivo, che è l'unico che può interessare per l'analisi di Fellini. Ma anche con queste riserve l'analogia fra Gelsomina e la vita "religiosa" è ancora discutibile: c'è, di questa, l'apertura verso ogni fatto del mondo, con affettuosa ma non mai alienata partecipazione; ma c'è anche un'eccessiva dedizione a Zampanò; e sopratutto c'è una formulazione inesatta del problema, dovuta alle incertezze di Fellini e probabilmente a negative influenze esterne.

Ad ogni modo anche le incoerenze si inseriscono in una linea evolutiva abbastanza precisa: solo in 8 ½ Fellini arriverà a intuire faticosamente il senso "vero" della spiritualità (ossia il senso che essa ha effettivamente nella sua arte), ed in Giulietta degli spiriti ad esprimerlo con chiarezza tematica anche a livello di coscienza; prima essa emerge, a partire da I vitelloni, ogni volta nel polo opposto a quello posto a protagonista, fra vita estetica e vita etica: di solito il protagonista maschile (il vitellone Fausto ed in parte il bidonista Augusto, come poi, più nettamente, Marcello ne La dolce vita) vive esteticamente, ed è chiamato alla salvezza da un'aspirazione etica; mentre le protagoniste femminili, impaniate nell'etica, vengono, crollato il loro unico mito, invitate
ad un livellamento di valori che potrebbe essere scettico, "estetico", se non ci fosse il loro radicale attaccamento alla vita a conservarle, in qualche modo, autentiche. Per quanto il nostro film si discosta dalla linea evolutiva, esso sembra anticiparne genialmente la conclusione (nel rinvio abbastanza esplicito alla spiritualità come superamento dell'opposizione tra le altre due vite, di Zampanò e del Matto) ed insieme costituirne un rallentamento, per quel che riguarda le singole vicende: Gelsomina, a contatto con il Matto, è riconfermata semplicemente in una sua esigenza "etica", anche se di fronte a Zampanò può apparire spirituale; questi, a sua volta, parte da una esigenza che è ancora etica (anche se estremamente più banale: quella dei soliti mariti borghesi, occupati solo dal lavoro e dal comportamento) : la sua evoluzione consiste nel cadere da un mito in un altro, senza superare sostanzialmente lo stadio etico. Si vede così come sia fuorviante anche tematicamente il considerare La strada come storia dei due protagonisti, anziché del loro rapporto. Come rapporto, invece, il film pretende di compiere un passo troppo lungo, giungendo alla comunicazione spirituale tra due uomini senza aver prima chiarito il senso stesso della spiritualità: l'intuizione è esatta, ma pericolosa, e ne Il bidone Fellini si affretterà a correggerla. Infine, paradossalmente, proprio il rapporto eccezionale con il Matto suggerisce quella che sarà la via giusta per arrivare a quel necessario chiarimento; ma lo fa in mezzo a tante suggestioni devianti, e forse il suggerimento stesso appare chiaro solo ora, alla luce dei chiarimenti successivi.

Significativamente il C.C.C. in un giudizio così stringato da non consentire un'attenuazione del significato delle parole parla di "assenza di freni morali nel protagonista": in una società in cui lettori che dovrebbero essere essenzialmente "religiosi" si lasciano inpaniare a tal punto nelle remore di una precisa morale da non riconoscere la presenza, altrettanto rigorosa, delle esigenze "morali" di Zampanò, solo perché questo sono diverse dalle proprie, è comprensibile, da un lato, l'incertezza e la lentezza con cui Fellini arriva a liberare il suo concetto di spiritualità dalle scorie di norme morali spicciole (comunque "borghesi" o "occidentali", e non "cattoliche", come lui crede); mentre il fatto che un centro "cattolico" le faccia proprie giustifica l'equivoco di Fellini e spiega perché sempre più, col progredire del suo processo di liberazione dai miti borghesi e di scoperta della spiritualità, egli rifiuti nettamente ogni etichetta "cattolica" e sfoci in una spiritualità, in un certo senso, immanente.

 

 

Analisi critica

 

 

La prima sequenza è di presentazione dei protagonisti, al momento del loro incontro (il loro passato non interessa, se non come riferimenti necessari a chiarire il rapporto stesso; come non interesserà il loro futuro, dopo la conclusione del loro rapporto): il solito C.L. iniziale su Gelsomina, che solo dopo è vista in P.P.; la fusione di lei con l'ambiente, sottolineata dalle fascine che porta in spalla, dal vagare lungo il mare, dall’ultimo addio al mare stesso, in ginocchio (in una specie di adorazione della natura, che è religiosa solo in senso lato, immanente: religione della vita, e della natura in cui questa si svolge); il suo lasciar cadere le fascine, manifestazione di dolore e sgomento, non alla notizia della morte di Rosa (che le vien data dai fratellini, come secondaria, a complemento di quell'altra, fondamentale, dell'arrivo dell'uomo con la grande motocicletta), bensì al pianto della madre: a chiarire, fin dall'inizio, che non è la morte a turbarla, ma solo l'animo umano: quando il Matto morirà, il suo sgomento sarà per Zampanò, e non per la morte in sé; e sta già superandola,, quando questi ricomincia a giustificarsi con argomenti meschini, "etici".

Restano, della prima sequenza, sopratutto le inquadrature di Zampanò appoggiato al palo, con la "cicca" fra le dita; ed in generale il suo comportamento, fin d'ora estremamente attento alle esigenze del proprio ruolo: con la povera famiglia di Gelsomina fa il grandioso, sicuro di sé, distaccato, impassibile o un po' annoiato: è un "uomo", i sentimentalismi non lo toccano, ma li consente alle donne, e aspetta pazientemente; finché decide che i pianti hanno durato abbastanza, e stabilisce perentoriamente la partenza, con l'autorità che gli compete. E' il solito adeguamento ad un ruolo, alle aspettative altrui, dei protagonisti maschili (ma non solo di quelli: anche le donne, sia pure in prospettiva ben diversa, vi si adeguano); quando, con 8 ½, se ne raggiungerà la consapevolezza, si avrà anche per un attimo il senso pirandelliano del dissolvimento dell'uomo sotto tante maschere. Ma sarà un attimo, subito superato con sicurezza da un più coerente recupero del valore autentico della vita, presente anche sotto le maschere o le menzogne; anzi anche direttamente in esse.

Analoga, ma più stridente, è l'ipocrisia della madre che piange sulla morte di Rosa, mentre già ha venduto Gelsomina: ipocrisia che è anche profonda sincerità, di chi è massimamente madre il momento in cui rinuncia ad esserlo, cedendo la figlia rimasta; ma lo fa per salvare dalla miseria gli altri figli: in una situazione grottesca, dettata appunto dalla miseria, in cui Fellini stesso non sa se piangere o protestare o deridere, e stride solamente, in modo fastidioso, ma efficace, come una dissonanza.

 

 

La breve scena successiva presenta per la prima volta lo spettacolo, sempre uguale eppur diverso, di Zampanò che spezza la catena. Questa prima descrizione dello spettacolo serve a chiarire la vita di "artista" che Zampanò conduce, e che insegnerà anche all'ammirata e volonterosa Gelsomina: raccorda così, in modo non banale, la precedente presentazione dei protagonisti con quella che sarà la storia del loro rapporto, tutto imperniato sul lavoro alienante - e di arida recitazione priva di fantasia - di Zampanò, e sui successivi sforzi di Gelsomina per scioglierne la spessa corteccia (maschera, ruolo). La recita, che adesso può avere una valenza comica, nel contrasto fra la sua banalità e l'ammirazione di Gelsomina, acquista un rilievo tragico proprio dalla sua monotona ripetizione, giustamente assunta a leit-motiv stilistico e tematico del film, cui l'uomo è costretto ad adeguarsi, mascherando i vari stati d'animo che di volta in volta lo assillano: ira, preoccupazione e quasi paura, dolore e quasi disperazione. E' il vecchio e abusato tema del "ridi pagliaccio", tragicamente sviluppato da Pirandello e da questi esteso a carattere di tutta la società (o almeno di quella borghese in cui viviamo), e dopo di lui ripreso spesso in ripetizioni sterili, anche se a volte efficaci (per esempio da Bergman: fin dagli inizi, come in Vampata d'amore, con cui La strada ha tanti punti in comune; poi di nuovo,in prospettiva diversa e inserito in strutture involutive, negli ultimi film che si ispirano ad 8 ½). In Fellini però il tema resta sullo sfondo: è colto nella sua tragica importanza, ma nel film esso non costituisce il tema centrale, bensì il punto di partenza, la premessa al racconto del suo superamento in una spiritualità almeno intravista come possibile. In tal senso esso rientra, come caso particolare, nelle alienazioni di cui è vittima l'uomo borghese (in senso lato: così lato da comprendere anche queste frange estreme della nostra società), e con queste è superabile: in una prospettiva che perciò non è sterile ripetizione di quella pirandelliana (già così lucida e completa da non ammettere sviluppi, se non nel proprio superamento), ma ricerca sempre più precisa di un superamento, di cui è chiara fin da I vitelloni l'esigenza.

La prima minestra cucinata da Gelsomina sviluppa sempre, con accenti delicati, questa prima fase del rapporto, che poi verrà capovolto nel corso della vicenda. Inutile osservare ogni volta la varietà della mimica della Masina, sempre efficace e generalmente priva di compiacimenti virtuosistici (come, del resto, anche quella di Anthony Quinn). Qui è ottimo il taglio delle inquadrature alternate; poi la minestra buttata via da Gelsomina di nascosto da Zampanò, quasi sperando che lui così non si rendesse conto che è cattiva (e intanto matura il senso della propria incapacità); ma questi è già entrato nella parte del maestro (ruolo: come prima quello di artista. Anzi, i due ruoli coincidono: è veramente "maestro d'arte'): denuncia perciò la pessima riuscita della minestra, "buona per i maiali", ma la mangia ugualmente, e non imperversa: sapeva già bene che avrebbe dovuto "insegnarle tutto", "farla" lui.

Ed inizia subito (nel racconto cinematografico): motivando così, nel senso detto, il comportamento precedente. La veste decorosamente ("Con Zampanò stracci in giro non ne voglio": il solito orgoglio borghese per il decoro, che rientra negli obblighi imposti da un ruolo) e le insegna l'arte. Ma lo fa in modo rigido, "accademico", vietando a lei ogni timido tentativo di libera, entusiasta espansione fantastica. Non è il caso di sottolineare la polemica contro i metodi "didattici" della punizione corporale e della disciplina, che pur è presente nell'episodio, ma che solo in 8 ½ verrà elevata a precisa consapevolezza tematica. Piuttosto, dato il tono simbolico, o almeno allusivo, del film, è forse possibile cercare, nella "lezione", una contrapposizione tra il retore e il poeta, l'accademico e l'artista spontaneo, la disciplina e la libertà, la rigida fissità del "maestro" Zampanò e gli entusiasmi improvvisi, senza freni, di Gelsomina (dal loro incontro, se positivo e fruttuoso - autentico - nasce l'arte vera?). Non lo si può negare; ma si tratterrebbe comunque di sfumature, poiché in pratica anche tale opposizione si risolve in quella, fondamentale, tra vita etica e vita spirituale, tra la rigidità di un ruolo precostituito e la libertà dello spirito.

Dopo l'ottima conclusione della lezione nel flebile lamento di Gelsomina che, ormai domata, ripete meccanicamente e senza convinzione la monotona formula impostale ("è arrivato Zampanò") sullo sfondo di bimbi curiosi e stupiti, il rito serale di lei davanti al fuoco ripropone la sua apertura, appena vagamente superstiziosa, di fronte alla natura: in un soffio ancora inconsapevole di spiritualità, cui Zampanò non sa partecipare.

 

 

La "prima notte" segna il passaggio al secondo momento strutturale del film: la scoperta, da parte di Gelsomina, della sua funzione di sposa, con i doveri e i diritti che ne conseguono. Si tratta, in fondo, anche qui di un "ruolo"; ed in ciò consiste uno dei principali limiti concettuali (già indicati) del film, che, volendo presentare nella protagonista femminile un’apertura spirituale, le lascia ambiguamente assolvere un compito prevalentemente "etico", di adeguamento a un ruolo, solo apparentemente opposto a quello di Zampanò, ma in pratica, come quello, tipico della mitologia borghese. Comunque si tratta di una limitazione del pensiero (Fellini non è ancora giunto a chiarire la propria posizione), e non dell'arte, che sa nascere sicura anche in mezzo alle incertezze tematiche. Lo si vede fin d'ora, nel breve episodio, che sa ritrovare una sua autonoma giustificazione in una densa gamma di osservazioni, mentre, nella sua brevità, potrebbe esser giustificato, anche se fosse banale o patetico, dalla precisa funzione narrativa e strutturale che assolve, e di cui già si è detto. Fellini affianca, a quel po' di patetico che può nascere dall'inconfessato pudore di Gelsomina, qualche leggera osservazione comica: e consegue con la consueta maestria il risultato, a lui usuale (e significativo del suo mondo poetico) di ottenere la commozione attraverso il comico, dove senza di questo la situazione stessa, per la sua banalità sentimentale, riuscirebbe ridicola: secondo la costante, ed essenziale, polivalenza di ogni singolo elemento del mondo felliniano. Gelsomina rifiuta di coricarsi con Zampanò ("Io dormo qui fuori"); questi, prima di richiamarla all'ordine, le chiede come si chiama, e lei fornisce cognome e nome (come ad un pubblico ufficiale): dialogo buffo, che potrebbe esser comico se non sottolineasse l'estraneità dei due, che ancora non si conoscono neppure di nome; e con ciò legittima (anche ai sensi dell'arte) il pudore e le reticenze di Gelsomina, che altrimenti suonerebbero retoriche. Questa insiste ancora chiedendo una proroga, fino a "domani", che è anche un modo per rinviare ciò che si teme, ma sopratutto - dopo il dialogo precedente e da tutto il contesto - esprime il bisogno di conoscersi meglio; quel bisogno che, ora implicito, si chiarisce in tutta questa seconda parte del film, fino alla sua fuga, e che poi consente le successive evoluzioni del rapporto.

Il secondo spettacolo è già arricchito dalla farsa del "ciufile", in cui Gelsomina è valida "assistente" di Zampanò: compagna nel lavoro, come vuole esserlo nella vita, in una vera comunione. Continua, fino alla fuga, ed oltre, il suo sforzo di imparare; e permane il suo senso di inferiorità; ma intanto si fa luce quella sua superiore esigenza, che finirà per porla al di sopra di Zampanò.

 

Ottimo l'episodio dell'osteria: affresco della dolce vita dei poveri, in una totale alienazione che finisce per implicare anche Gelsomina, per un momento, nel culmine della sequenza. All'inizio questa - pur inorgoglita della presentazione di Zampanò: "la mia Signora" (Ma intanto il commento dell'amico è illuminante: "Tua moglie ?! Questa è un'altra delle amiche tue!") - si offre umilmente di andare ad aiutare in cucina; poi chiede sommessamente entrambi i piatti di carne; infine tenta per la prima volta, inutilmente, di comunicare; non solo non le riesce, ma conoscerà anche, per la prima volta, il tradimento. Proprio con la preparazione di questo ha inizio la massima espressione di alienazione, cui paradossalmente partecipa, ora, anche Gelsomina: secondo la tecnica usuale di mescolare il patetico con il comico; che non è solo, in Fellini, felice tecnica narrativa, ma precisa espressione di un mondo in cui ogni elemento possiede la stessa ricchezza sentimentale che è del tutto, e in cui anche attraverso alle alienazioni - ma sopratutto dopo i loro crolli - si arriva al senso di pienezza della vita. Qui, e in tutto il film, essa si esprime sopratutto attraverso il dolore, anziché in tripudi figurativi: corrispondente stilistico, dal lato del contenuto sentimentale, di quella deviazione dalla vera linea felliniana che il film presenta anche dal lato formale, nel suo aggancio rigido a un certo tipo di neorealismo, o sotto l'aspetto tematico in quegli elementi di cui già si è detto. Ma, a parte un maggior velo di tristezza irrisolta, il nodo descrittivo è già tipico dei successivi affreschi felliniani: un alternarsi continuo di alienazioni, colte nelle loro motivazioni psicologiche ed espresse sinteticamente in pochi gesti e parole significativi: le forti risate della rossa in cerca di attenzioni, subito raccolte da Zampanò; il tono sicuro di questi, che inorgoglisce Gelsomina: lui offre da bere, da fumare (mezza sigaretta ...); e lei collabora come può, contenta di conoscere altra gente, compiaciuta della propria posizione; ora Zampanò la presenta come la sua "assistente", anziché "Signora", per ovvie ragioni, che però sfuggono a Gelsomina, che accetta di buon grado la variante. Ma poi lui rincara la dose, precisando che le ha insegnato tutto lui, che lei all'inizio "non sapeva neppure ragliare"; così l'improvviso entusiasmo mondano di Gelsomina si spegne rapidamente come era sorto: prima si mette in ordine, saluta, sorride, si mette ancora in ordine, offre il proprio bicchiere, ride alle battute del suo uomo; ma nessuno le fa caso, mentre si svolge un implicito contratto fra la rossa e Zampanò. L'immagine coglie questo esplodere dell'alienazione con ritmo rapido di P.P. e di particolari continuamente alternati, sottolineati dall'incalzare della musica, anch'essa fortemente ritmata. Conclusa la contrattazione, la rossa invita ad uscire, e Gelsomina, ormai tagliata nuovamente e definitivamente fuori dagli interessi degli altri due, indugia a raddrizzare la sedia rovesciata da Zampanò: atto umile di chi è abituato a servire, che riprende l'offerta iniziale di andare a prendere i piatti o aiutare in cucina, e che tristemente conclude la sua prima esaltazione mitica.

Gelsomina resta sola, momentaneamente abbandonata da Zampanò, senza ancora capirne il perché, nella strada buiae deserta - solo un cavallo passa, anch'esso solo e senza meta - . All'alba è ancora lì, a suscitare stupore, fra curioso e partecipe, in alcuni bimbi. Il solito C.L. l'accompagna a lungo, rannicchiata contro il muro, come per cercare protezione o consolazione, sulla vasta prospettiva della strada deserta, che esprime il suo abbandono, mentre alcune donne (fuori campo durante il dialogo: a sottolinearne l'estraneità) parlano di lei e infine accennano al fatto che Zampanò si trova fuori del paese. Solo a questa notizia, in un’improvviso P.P., Gelsomina si riscuote e corre dal suo uomo; il modo buffo della sua corsa maschera la tenerezza per quel misero essere che sta soffrendo le sue preoccupazioni d'amore: perché di questo si tratta, prima che di gelosia; e lo dimostra la stessa corsa, poi il suo ansioso avvicinarsi a Zampanò addormentato, chiamarlo, aprirgli un occhio per vedere se vive (l'avrà visto fare con qualche animale ?). Subito, tranquillizzata (la reazione brutale di Zampanò dovrebbe irritarla; ma per ora significa anzitutto che egli vive ...), gli si avvicina per osservarlo con tenerezza, per la prima volta, approfittando pudicamente del sonno di lui: è un attimo, delicatamente appena accennato anche dall'immagine; subito dopo si ricorda di quanto è accaduto, e solo ora, libera da più gravi preoccupazioni, scopre la gelosia, e fa il broncio (quasi a se stessa, per aver ceduto alla commozione ...).

Rimasta ancora sola, ma ormai tranquilla, si abbandona ad una breve parentesi di osservazione, scoperta, partecipazione, imitazione della natura, in tutti i suoi vari aspetti (fra cui c'è anche la morte, qui di un cane, ad indicare ancora una volta che anche ad essa Gelsomina è abituata, e che anch'essa fa parte della vita: non per il Matto, ma per Zampanò, Gelsomina impazzirà); mentre un bimbo, sullo sfondo, la commenta, guida, spiega, osserva, sottolineando l'analogia (che qui - altra debolezza tematica del film - si fa vera coincidenza) fra l'ingenuità dei bimbi e la riconquistata freschezza di osservazione che è di chi vive autenticamente. Qui però, dei due, è più smaliziato il bimbo, nonostante la profonda e superiore positività che la struttura del film esige da Gelsomina. Tuttavia si è già detto che la resa artistica risente ben poco delle incoerenze tematiche: il balletto intessuto da Gelsomina nella sua nuova scoperta della natura resta delizioso, e felicemente concluso dal richiamo di Zampanò che la riporta alla loro realtà di nomadi: mentre lei, razza sedentaria, aveva già provveduto a seminare pomodori…

 

Una breve immagina di viaggio segna il passaggio all’episodio del matrimonio, che ripete e sviluppa questo appena concluso: nuovo incontro con il mondo (dolce vita contadina…), nuovo tradimento, che ora Gelsomina riconosce più rapidamente, nuovo e più consapevole tentativo di dialogo da parte sua. Se poi si bada, anche nei dettagli, alla struttura narrativa dei due episodi e non solo alla vicenda narrata, l'analogia appare ancora più netta e più significativa: il dialogo che ora tenterà invano di instaurare Gelsomina ripete il tono triste della notte da lei passata in solitudine, mentre la sua successiva fuga ripete, nella curiosa scoperta del mondo degli uomini, ora, oltre che della natura, la precedente scoperta che abbiamo appena visto: questa fatta perché Zampanò, ancora addormentato, la lascia sola; quella cercata espressamente da lei, perché lui, come sempre insonnolito al mattino, rifiuta il dialogo e la lascia partire. In tal modo anche la fuga rientra in questo secondo nucleo strutturale, concluso al momento in cui Zampanò ritrova Gelsomina e la riporta una seconda volta alla loro vita di girovaghi: lo stretto parallelismo strutturale tra i due episodi, che insieme costituiscono questo secondo nucleo che stiamo analizzando, toglie ancor più importanza alla fuga di Gelsomina, aggiungendosi agli altri precisi elementi che già abbiamo nota te, psicologici, narrativi e d

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