Regia di Davide Fiorentini vedi scheda film
Tony Paganelli ha cinquant’anni, gestiva un sexy shop che gli hanno svaligiato, ha fatto il colloquio per diventare guardia giurata ma è risultato «troppo qualificato»; vive ancora con la mamma ultrasettantenne, fa body building, si accontenta di passeggiare nel parco perché non va in ferie dal 1998. Poi decide di improvvisarsi produttore cinematografico, scrive una sceneggiatura in tre giorni, raduna a Torino attori e maestranze romani che non pagherà mai. Il suo esordio si intitola Anime di vetro e non vedrà mai la luce; non ci sono soldi, non ci sono competenze, Paganelli millanta la partecipazione di Alessandro Haber, l’arrivo di capitali inesistenti. Sul set lo stupore si muta rapido in furore, il regista incaricato è destituito, il fonico Davide Fiorentini subentra dietro la macchina da presa e fiuta il film dentro il film. Comincia a girare un documentario sul produttore, raccoglie le testimonianze della troupe, offre l’obiettivo all’ambizione cristallina di un personaggio talmente vero da essere incredibile: il suo diario sembra un mockumentary, si apre come una puntata di Boris e nel corso di poco più di un’ora trasforma il tragicomico Tony in figura di herzoghiana follia. Un Terry Gilliam nostrano che non ha idea di cosa sia il cinema, ma è ben deciso a non fare un lavoro qualunque, e soprattutto a rispondere alla domanda universale: «I sogni spesso si avverano, ma perché non sono mai i miei?». Il vero film sul vuoto che Jep Gambardella avrebbe amato.
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