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Stalker

Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film

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La recensione su Stalker

di Inside man
10 stelle

Assurdamente travagliato (causa l’accidentale distruzione dei negativi, fu rigirato una seconda volta con risorse limitate), è l’ultimo film realizzato in patria da Tarkovskij prima del sofferto esilio negli anni "80. Veniva generalmente considerato (da me compreso) il punto d'inizio di quel manierismo evidenziatosi nei successivi Nostalghia e Sacrificio. Rivisto oggi invece, Stalker è un capolavoro assoluto, l'ennesimo di un fondamentale maestro del cinema (autore, teorico e critico). La solitaria ricerca di una sintesi interpretativa fra le tre entità al centro delle sue incessanti riflessioni (fede, arte e scienza), raggiunge qui un suggestivo apice. I simbolici protagonisti intraprendono un percorso (l’esperienza adulta) verso la zona (le risposte, cioè Dio) confrontandosi sull’essenza della vita, e sui temi mistico-filosofici che tormentano perennemente l’individuo, quali il senso della morte, la dimensione di un possibile aldilà, l’attrazione-repulsione verso la felicità, intesa come realizzazione dei desideri più reconditi dell’anima, spesso così inconsapevolmente atroci, da portare alla pazzia una volta emersi (mai in un film la felicità è stata tanto temuta). Il linguaggio impeccabilmente lento del cineasta (coadiuvato dalla splendida fotografia e dall’intensa colonna sonora) permette alla sua poesia cinematografica di ammantare l'intera pellicola. In Stalker, più che altrove, egli giunge veramente a scolpire il tempo. Ed è un incanto per gli occhi ed il cuore, un’estasi misteriosa che turba, sprofondandoci in una raffigurazione cupa ed agghiacciante in cui gli elementi naturali (acqua, vento, terra), entrano in simbiosi con le nostre più inspiegabili istanze, tese a dare un significato ad esistenza e trascendenza. I corpi, rannicchiati in posizione fetale su terreni amnioticamente acquitrinosi, incarnano la stagnazione ed il fallimento della parabola umana, ovvero fede, arte e scienza impegnati a perpetuarsi da secoli devoti a se stessi, reiterando sterilmente concetti quasi sempre antitetici. Nell’enigmatico finale (riecheggiante Solaris) sembra disvelarsi che solo l'infanzia, nella peculiare ed innocente incompiutezza, ha occhi adatti a cogliere le verità universali. Per ognuno di noi, in tenera età, è stato almeno concepibile spostare metaforicamente quel bicchiere con lo sguardo. Una conclusione emozionante, capace di placare le precedenti sensazioni angosciose. L’intrinseca ed enorme portata di quest’opera (e della filmografia completa) è oggettivamente di ardua assimilazione, tuttavia se un giorno il cinema sarà eletto materia formativa d’eccellenza, la laica spiritualità di Tarkovskij, il suo doloroso e vano inseguimento di una totale armonia nelle aspirazioni dell’animo, la misurata coesistenza di multiformi linguaggi espressivi (cinema, poesia, letteratura, pittura, musica), rappresenterà un inestimabile patrimonio culturale ed educativo, ed Andrei Rublev, Solaris e Stalker in primis, saranno, auspicabilmente, dei “classici indispensabili”.

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