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Anime nere

Regia di Francesco Munzi vedi scheda film

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La recensione su Anime nere

di Utente rimosso (Cantagallo)
6 stelle

Anime Nere esce nelle sale forte del compatto consenso riscosso al recente passaggio veneziano. Se per consenso si intende apprezzamento ne comprendo le ragioni, a partire dalla doverosa attenzione per una pellicola che affronta il tema - di lunga tradizione nazionale - della malavita organizzata collocandosi all’interno di un genere da cui si spera sempre di veder nascere un nuovo caso della statura di “Gomorra”, la cui suggestione esercita tuttora un effetto di lungo corso. Inoltre il sostegno giustamente manifestato ad un autore italiano che sceglie di lavorare su un soggetto drammatico a tinte fosche, anzichè su registri più rasserenanti, trova nel film di Munzi l’impegno di una lunga lavorazione in loco, buone prove degli attori e l’ottima idea di calare la vicenda oltre che nell’ambito delle relazioni di sangue anche in un contesto geografico, quello calabrese, che non sembri un generico “Sud” ma che emerga descritto nella sua identità anche dal punto di vista della lingua (come noto il film è quasi interamente in dialetto calabrese sottotitolato), del territorio e delle tradizioni, rendendo la Calabria uno degli elementi vivi del film.

 

Se per consenso si intende invece entusiasmo senza riserve, allora non posso nascondere la mia perplessità soprattutto perchè, dopo tante pellicole di genere, da un lungometraggio che ambisce al grande schermo e che viene presentato a un festival ci si attende che possa distinguersi in ogni suo aspetto, e non solo nelle intenzioni, dalla moltitudine dei consimili.

 

Devo ammettere che probabilmente l’uso del dialetto sottotitolato ha alimentato in me aspettative eccessive, indebitamente ho dato per acquisito che una scelta purista a livello di linguaggio portasse con se’ l’assunzione di un rischio maggiore, che sottintendesse un affrancamento radicale dai canoni del genere, che lasciasse alla lingua il compito di fare breccia nella struttura del film per ripensarla, e quindi inevitabilmente l’ho trovato nel suo complesso un lavoro molto classico. In fondo, la stessa impostazione dei dialoghi è quella della scrittura convenzionale, con le stesse pause, la stessa studiata alternanza delle battute, la stessa logica di una comunicazione ordinata e guidata per essere compresa senza fatica, di fatto sembrano dialoghi tradotti in dialetto ma non nati in quella lingua, e l’idioma funge sì da elemento di caratterizzazione ma senza impossessarsi appieno della comunicazione, senza stravolgerla, mentre le connotazioni di spontaneità e naturalezza di una (qualunque) parlata colloquiale sono rese solo fino a un certo punto. Naturale viene il riferimento al verismo di un’opera bellissima e davvero autentica come “Le quattro volte” di Michelangelo Frammartino, evidente fonte di ispirazione di alcune scene di "Anime nere" che lo omaggiano in modo sincero, ma va sottolineato chiaramente, per giustizia e per non alimentare troppe aspettative, che i due film si collocano nel loro complesso su piani stilistici e contenutistici abissalmente diversi.

 

Tre personalità diverse caratterizzano i fratelli Carbone: il malavitoso trafficone, il malavitoso borghese emigrato al nord, il non malavitoso che vorrebbe starsene solo in pace. Alleanze e rivalità tra cosche mafiose e un giovane con la testa calda innescheranno il meccanismo di rovina della famiglia.

 

La storia, considerata non nel suo potenziale di (auto)suggestione ma nell’effettiva forza della messa in scena, produce un effetto di tensione drammatica in verità moderato, la spirale di violenza rimane imbrigliata a livello di un regolamento di conti familiare senza raggiungere lo spessore drammatico della tragedia, e se si sobbalza sulla poltrona è più per il rumore degli spari che per un reale e profondo coinvolgimento, almeno la mia personale esperienza è stata questa. Alcune belle scene che dimostrano sincero interesse per il contesto culturale (volti di statue votive, antichi riti magici, canti popolari, esterni laconici, la riuscita scena dei regali) si mescolano con altre scene di repertorio (tavolate di uomini d'onore che parlano di “affari”, gruppi di mafiosi troppo nerovestiti giustapposti negli angoli delle inquadrature come statuine di un presepe, donne anziane che piangono ai funerali, faccia a faccia in cui gli uomini si afferrano per il bavero della giacca, scene di disperazione plateale e potrei continuare...) che ridimensionano fortemente le potenzialità del film, lasciando una sensazione di costante dejavu. Dal punto di vista delle vicende narrate, il richiamo a “The funeral” di Abel Ferrara per il focus sui rapporti di sangue e il richiamo a “Gomorra” in particolare per le “bravate” dei due ragazzi sono immediati per quanto riguarda l’ispirazione, ma anche in questo caso l’analogia va riconosciuta nei termini di un debito di Anime nere verso le due illustri pellicole, mantenendo chiaramente distinti il livello e lo spessore delle opere in questione.

 

Peccato non aver preso una posizione più decisa, perchè si tratta in ogni caso di un lavoro curato, realizzato con mezzi adeguati e ben recitato (anche se la direzione degli attori sembra fin troppo preoccupata che ognuno faccia il suo dovere con i giusti tempi) che però teme di osare fino in fondo o forse di perdere qualche segmento di pubblico (coproduzione con intervento RAI...), ripiegando spesso su soluzioni banali (il volto dell'anziana madre in lacrime in dissolvenza sulla scena seguente, l’arrivo a Milano con inquadratura esplicativa del cartello della stazione “Milano Centrale”, il confronto scontatissimo tra marito e moglie al funerale, la Bobulova – contributo fondamentalmente ornamentale - che si accende nervosamente una sigaretta dietro l’altra perchè dopo dieci anni di matrimonio si scopre “diversa” dalla famiglia acquisita...) e lasciando (forse solo a me) la vaga impressione di un lavoro indeciso tra grande e piccolo schermo. 

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