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Timbuktu

Regia di Abderrahmane Sissako vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Timbuktu

di ethan
7 stelle

 

A Timbuktu, nel Mali, un gruppo di jihadisti, di cui non risulta specificata l'appartenenza, mette a soqquadro la tranquilla esistenza degli abitanti locali, impedendo loro di fare le cose più semplici e normali, come ascoltare e suonare musica, giocare a calcio ai bambini, accanendosi in particolare con le donne, alle quali viene vietato pressoché tutto, in nome di una visione ultra-integralista e delirante dell'Islam, incomprensibile agli stessi islamici del posto, che osservano i precetti della loro religione in maniera assennata. Gli stessi si ergono anche a giudici supremi, con tribunali improvvisati, sentenze inappellabili e condanne tremende, specie nei confronti di un pastore che ha deciso di vivere pacificamente con moglie e figlia ai margini della città , dedicandosi all'allevamento di bestiame. 

Chi meglio di un autore, originario di un paese, la Mauritania, sconvolto anch'esso da episodi di terrorismo attribuibili ad Al Qaeda, come Abderrahmane Sissako potrebbe meglio descrivere un fenomeno, così virulento e purtroppo estesosi in larga scala anche ad altri continenti e paesi, diffuso a macchia d'olio in tanti paesi africani?

Difatti, generalmente, sono proprio i musulmani i primi ad essere colpiti da tali esplosioni di violenza cieca, proprio come viene descritto in 'Timbuktu', che, in originale, ha il dolente e significativo titolo 'Il dolore degli uccelli': nell'incipit vediamo un animale correre nella Savana alla disperata ricerca di un riparo dai colpi d'arma da fuoco sparati da una Jeep su cui viaggia uno sparuto plotone di terroristi, corsa ripetuta nel finale dalla ragazzina che, visti ammazzati i propri genitori, tenta una fuga, che pare impossibile, verso la libertà da cotanta brutalità.

Sissako evita il discorso a tesi e mostra il meno possibile la violenza fisica, limitandosi a una cruda scena di lapidazione, peraltro accennandola appena per pochi secondi e poi staccando bruscamente, preferendo dedicarsi a molteplici scene in cui è la violenza verbale dei terroristi a prevalere.

Lo stile del cineasta africano è privo di svolazzi autoriali, tranne la poetica sequenza dove i ragazzi, non avendo un pallone, mimano - come nel finale di 'Blow Up', in quel caso una partita di tennis - azioni di calcio su un campetto improvvisato, come per voler dire che quando la realtà non consente di fare una cosa si ricorre alla fantasia, dando così vita ad un'opera comunque emozionante e sentita, dove è il contenuto a predominare, acquisendo quindi una valenza politica di denuncia.

Da vedere.

Voto: 7,5.

 

 

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