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Still Alice

Regia di Richard Glatzer, Wash Westmoreland vedi scheda film

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La recensione su Still Alice

di OGM
7 stelle

Julianne Moore

Still Alice (2014): Julianne Moore

Lottare, non soffrire. Continuare a vivere, con quel che rimane. Alice Howland è. L’accento va posto su quella particella, quel verbo declinato al presente. Il passato è una realtà che svanisce, la risacca di un’onda che ha battuto per l’ultima volta sulla riva. Si può ancora nuotare, nell’acqua che sfugge, che non ha più profondità, che cancella i disegni tracciati sulla sabbia. Bisogna però avere il coraggio di ricominciare daccapo, istante dopo istante, scrivendo su un foglio bianco che ha perso la memoria. Sopravvivere significa aggiungere respiro a respiro, passando da un alito al successivo, senza accumulare riserve, senza mai poter fare il pieno d’aria. La malattia di Alzheimer è la negazione del progresso, che costringe a reinventarlo ogni momento, come desiderio privo di sbocco, come unica possibilità di andare avanti. La storia di Alice è tutta fatta di nuovi inizi, che non conoscono sviluppi, che impostano il movimento ma non lo sanno proseguire. Il suo romanzo è scandito dallo scorrere dei mesi, che coincidono con altrettanti capitoli separati, legati solo dal filo di un declino a cui ci si può opporre unicamente mantenendo vivo, in sottofondo, l’inconcludente ticchettio del tempo. Azione dopo azione. Pensiero dopo pensiero. La vita degli altri, quella sì, segue un’evoluzione logica. Quella di Alice è invece un’estemporanea successione di siparietti avulsi dal contesto, recite a soggetto di un osservatore marginale e disorientato, che, della realtà circostante, dà un’interpretazione vaga ed affannosa, improntata ad un oscuro, invincibile malessere. Il film di Richard Glatzer e Wash Westmoreland  ci restituisce quello sguardo convulso e frammentario con cui Alice deve fare i conti con un mondo non più suo. Lei c’è, ma il significato di questa reiterata affermazione va precisato e ridefinito in ogni nuova situazione, dato che per lei non esistono più abitudini, né modelli di riferimento. La sua battaglia è come l’impresa di un funambolo che si regge in bilico senza una strategia prestabilita, a suon di piccoli aggiustamenti di un equilibrio imprevedibilmente instabile.  Per lui è impossibile sapere, in anticipo, da quale parte, e con quale forza, giungerà, a frenarne il cammino e ad inclinarne la postura, quel naturale risucchio che lo indirizza al fallimento, che lo vorrebbe trascinare verso la morte. Alice è costretta a comporre frasi sempre più brevi, a voltare pagina sempre più spesso. Le sue avventure assomiglieranno presto a minute briciole di incoerenza, strappate ad una fantasia che strepita e inciampa pur di poter ancora creare. Il gioco diventa uno strumento per resistere all’incombente vuoto: i significati concreti, non più accessibili, cedono il posto a quelli che sgorgano spontanei dalla mente, gli unici che Alice possa sentire veramente suoi. Nel libro di Lisa Genova il testo prende gradatamente a sfaldarsi, sdoppiando il livello di lettura in due strati: la  fragile, tenue superficie di una realtà di cui la protagonista coglie solo sensazioni distanti ed approssimative, e la dura, ruvidissima scorza di un incubo crescente, che ostruisce la sua visuale verso l’esterno, e che, all’occasione, funge da riparo, avvolgendo nella sua nera corazza la triste libertà della follia. Quella dimensione resta totalmente invisibile, dal di fuori. Lisa Genova la traduce mirabilmente in parole, nei versi sciolti di una danza, immaginaria e testarda, una coreografia martellante ed ottusa  con cui Alice si impegna a contrastare la progressiva invasione del caos. Al di qua si percepisce solo un abisso silenzioso, in cui affondano tutti i nostri sconcertati perché. Non capire, perdersi, sentirsi sopraffatti dall’incedere degli eventi è il ruolo che tocca anche a noi, spettatori di un dramma alimentato dal devastante vortice del mistero:  noi che ci ritroviamo giustamente insoddisfatti, ed anche un po’ intimoriti, dalla costante impressione che manchi qualcosa, che si sia saltato un pezzo, che tutto sia successo troppo in fretta. La visione di Still Alice ci travolge, lasciando le cose a metà. Aderendo in pieno a quel paradosso che, senza alcuna pietà, ci allontana dalla persona che amiamo, mentre lei, cercando il nostro abbraccio, precipita via da se stessa.     

    

Alec Baldwin, Julianne Moore

Still Alice (2014): Alec Baldwin, Julianne Moore

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