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The Lobster

Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film

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La recensione su The Lobster

di supadany
9 stelle

Giunto al quarto lungometraggio, il regista greco Giorgos Lanthimos approda ad una produzione internazionale, adornata da un cast di attori noti, ma ciò non pare, almeno al sottoscritto, aver inficiato al tenore spietato del suo sguardo che anzi “maltratta” (sullo schermo) le sue star che si muovono all’interno di un quadro futuristico, ma con appigli al presente (fatte le debite proporzioni), annichilente.

In un futuro non precisato, chi è, o si ritrova, single viene condotto in un hotel, nel quale ha 45 giorni di tempo per trovare un nuovo compagno, pena la trasformazione in un animale a sua scelta.

In questa struttura finisce David (Colin Farrell), mentre nel bosco circostante la struttura vivono i Solitari con i quali entrerà in contatto alla strenua ricerca della salvezza.

Ma anche loro hanno regole rigidissime.

 

Rachel Weisz, Colin Farrell

The Lobster (2015): Rachel Weisz, Colin Farrell

 

Il pubblico negli ultimi anni si è abituato ad assistere a vicende distopiche ambientate in futuri difficoltosi, assai meno conosciuto è invece il modo di raccontare di Giorgos Lanthimos (questo sarà in Italia il suo primo film distribuito in sala, o almeno così sembra dover essere) che non perdona nulla, nemmeno quando sembra possa aprirsi uno spiraglio concreto.

Per l’uomo, si tratta in fondo di sopravvivere, a partire da tutto ciò che regolamenta la struttura ricettiva che ospita i single (con una serie di segmenti illustrativi a dir poco grotteschi), la necessità di accoppiarsi che porta a gesti irruenti (come picchiare il naso contro oggetti per sanguinare e così avere un’affinità con la “preda”), col tempo che scorre come la sabbia all’interno di una clessidra e con ogni occasione che diventa vitale per non vedersi trasformati in animali.

In fondo, per quanto riguarda le affinità, pur nell’esasperazione di ciò che l’opera mostra, qualcosa di non troppo distante accade nella vita, con persone che per piacersi scendono agli (inevitabili) compromessi propri della vita di tutti i giorni, a volte non per vero amore, ma per assecondare la filosofia di vita (la famiglia con annessa procreazione) che comunque la società ci invita a seguire.

In più, nella distinzione tra la società imperante, col suo rigido ordinamento, e i ribelli (i solitari), c’è quella distanza siderale tra le parti in gioco (un po’ come oggi in politica o nella religione) che rende entrambe due facce (erronee) della stessa medaglia, due espressioni, talmente lontane ma anche così vicine nella malvagità, impossibili da vivere ed anche ciò che appare normale, come la musica da ascoltare (di coppia nella società dominante, rigorosamente elettronica tra i ribelli per non favorire il contatto) nasconde, nemmeno troppo velatamente, un reale obiettivo di controllo.

Avere la propria vita diventa così ricerca utopica, una sorta di sogno che richiede sempre qualcosa di ingente da pagare, in tal senso il finale porta David a prendere una serie di decisioni forti (non che prima si sia scherzato) lasciando quel non detto (o fatto) che si scolpisce sulla pietra.

In questo modo, su tutto si espande uno sguardo amaro su ciò che è la natura umana, semplice dire “ti amerò per sempre”, più complicato poi affrontare le prove della vita, più facile continuare una fuga senza una meta sicura.

L’integrità d’autore è mantenuta, alcune scelte sulla carta ardue si dimostrano efficienti, ad esempio Colin Farrell appare imbolsito e lontano anni luce dalla figura edulcorata di divo (e dopo “Youth”, fa piacere ritrovare Rachel Weisz intensa e segnata dal dolore), mentre la sceneggiatura mantiene cardini fondamentali sempre coerenti, pur contemplando tutti i rischi che un inquadramento del genere comporta (sulla descrizione di tutta un serie d’azioni e regolamenti sociali è facile storcere il naso su più cose, ma si tratta sempre di ornamenti).

Giorgos Lanthimos quindi non fallisce la prova della consacrazione internazionale e non tanto per l’importante premio conseguito a Cannes 2015 (senza poter entrare nel merito della competizione, è sicuramente un’opera meritevole di attenzione), quanto perché non ha accusato il peso del passaggio a qualcosa di più grande, mantenendo una visione personale e confermando il suo talento sotto molteplici punti di vista (ad esempio, oltre a quanto già espresso, l’accompagnamento musicale, sia nelle scelte ricorrenti, che nei pezzi scelti apposta, è quanto mai appropriato).

Non piacerà a tutti, ma è un’esperienza cinematografica che vale la pena di provare anche solo per discuterne (perché non può che generarne di dibattiti, nel bene e nel male).

(Ferocemente) Disilluso.

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