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Honeymoon

Regia di Leigh Janiak vedi scheda film

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Badu D Shinya Lynch

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La recensione su Honeymoon

di Badu D Shinya Lynch
8 stelle

Con Honeymoon si chiude un'ideale trilogia horror sulla coppia, che inizia con Twentynine Palms e prosegue con Antichrist. In tutte e tre le pellicole, la natura, raffigurata come luogo mentale, gioca un ruolo decisivo atto a liberare le voglie ataviche e primigenie dei protagonisti delle tre pellicole elencate poc'anzi: i personaggi, difatti, risultano svincolati da ogni regola sociale od impalcatura esistenziale. Vi è anche una sorta di mistificazione drammaturgica man mano che proseguiamo temporalmente coi suddetti lungometraggi: in Twentynine Palms, appunto, non v'è alcun tipo di contaminazione estranea volta a deflagrare il codice rapportuale, ma l'orrore emerge semplicemente e spontaneamente dalla natura umana, dalla bestialità latente delle persone; in Antichrist, invece, l'eqilibrio della coppia scema progressivamente appena subentrano in essa dei fattori religiosi e misterici, ovvero la relazione sentimentale dei due protagonisti si sfalda gradualmente su uno sfondo misticheggiante; concludiamo con Honeymoon, il lungometraggio in cui avviene una maggiore "infezione", infiltrazione da parte dell'esterno rispetto agli altri due film, in cui, qua, il rapporto amoroso dei protagonisti subisce una frattura letteralmente e palesemente aliena. Cosa possiamo (forzatamente?) dedurre da tutto ciò? Forse che la coppia, vista la realtà odierna, ha più contaminazioni esterne - come la pubblicità, la subcultura, la tv, la perdita dei valori, etc. -, in questo caso rappresentate simbolicamente dall'entità alienoidi, che mirano a frantumare la stabilità relazionale, rispetto ai vari legami affettivi degli anni passati - nel film di Dumont, come già spiegato nelle righe precedenti, non v'è alcun tipo di orrore extra-umano, di conseguenza, rimanendo sul binario del discorso extra-filmico, la coppia, rispetto al presente, nella vita quotidiana restava incontaminata per via della scarsa presenza e potenza da parte dei sopracitati elementi estrinseci, visti come fattori destabilizzanti. Se si avvale questa tesi, Leigh Janiak ,tramite il suo film, non solo tesse un discorso teorico davvero stimolante ed interessante sulla crisi attuale della coppia rispetto al passato, ma anche sulla crisi dell'Immagine confrontata col Cinema d'inizio decennio scorso: si prendano, ad esempio, in considerazione gli ultimi frames del film e l'oscurità visiva relativa alla seconda parte [impossibile non pensare allo stesso procedimento visuale di Historia de la Meva Mort] che aumenta col passare dei minuti, la quale sembrerebbe soffocare il film, rendendo le immagini sempre più (o)scure, languide, sfocate, nervose, sospese tra lynchiane luci intermittenti [la sequenza in cui Paul è al PC all'interno dell'abitazione di Will ed Annie] e febbrili primi piani grandrieuxiani [la sequenza finale]. L'Immagine, quindi, è relegata ad un destino crepuscolare, perché, ormai, troppo infestata da ciò che le sta attorno e da ciò che, cinematograficamente parlando, la precede?

 

 

Rose Leslie, Harry Treadaway

Honeymoon (2014): Rose Leslie, Harry Treadaway

(le immagini più illuminate relative alla prima parte del film)

 

Harry Treadaway, Rose Leslie

Honeymoon (2014): Harry Treadaway, Rose Leslie

(le immagini più languide riguardanti la seconda metà della pellicola)

 

 

Tornando al film di Lars Von Trier, per chi scrive, Honeymoon parrebbe essere il controcampo extraterrestre di Antichrist: si pensi ad esempio ai due finali di entrambi i film, il quale l'uno sembra essere speculare all'altro, poiché in entrambi gli excipit avviene una sorta di emancipazione femminea, nonché uterina, con la differenza che il film del regista danese è un film velatamente di liberazione donnesca, mentre il lungometraggio della regista americana è esplicitamente [rimarchiamo il concetto: l'autore dell'opera è una donna] di riscatto muliebre.

 

Un altro aspetto da non trascurare in Honeymoon, è il raffronto significativo tra l'incipit e l'excipit: nel primo caso, come scrive Alberto Libera nella sua brillante analisi per Lo Specchio Scuro, i protagonisti Bea e Paul vengono presentati durante un imprecisato periodo della loro vita, attraverso «una successione di primi piani e mezze figure che, pur condividendo il medesimo spazio, non sono presenti contemporaneamente nell’inquadratura. Più che di un’enunciazione programmatica dell’orizzonte speculativo entro cui muoverà la pellicola, si tratta di una vera e propria prolessi che anticipa e compendia gli eventi successivi»; durante la sequenza conclusiva della pellicola, i protagonisti del lungometraggio vengono mostrati attraverso un filmato, riguardante anche stavolta un indefinito momento della loro esistenza, in cui, questa volta, risultano presenti nella stessa inquadratura. Il filmino dei novelli sposi, però, risulta danneggiato, consumato, come a voler rappresentare risolutivamente l'impossibilità di una serena relazione sentimentale. Quel determinato benessere che trapela dal video dei neo-coniugi può essere comunque raggiunto esclusivamente dalla finale, nonché catartica, liberazione femminea - a conferma di ciò ci pensa, in questo caso, l'emblematico montaggio alternato - da parte di Bea. Come se potesse anelare allo stesso stato di beatitudine [le due donne seguono la luce, la grazia (?)] di coppia, ma solo come elemento individuale destinato a completarsi da sé.

 

Uno degli argomenti chiave del film riguarda l'impossibilità del riconoscimento dell'altro, che viene perfettamente raffigurato durante la sequenza in cui la ragazza è legata al letto, attraverso una serie di primi e primissimi piani che mostrano velatamente l'inizio, appunto, della sua spersonalizzazione, tramite sottili, pressoché subliminali trasmutazioni facciali, come ad esempio il dilatamento delle pupille durante un primo piano in cui la protagonista guarda la mdp. Il discorso relativo a questa impossibilità dell'identificazione del prossimo risulta, infine, simboleggiato perfettamente durante l'excipit in cui Bea osserva il presunto alieno, non riuscendo, però, a delineare la sagoma del suddetto essere, come se non riuscisse a "riconoscerlo" - ancora, il montaggio alternato è significativo poiché da una parte vien inquadrato il viso della sposa, la quale pare ipoteticamente ed inspiegabilmente turbata da questa difficoltà nell'identificare l'alieno (l'altro), correlato alle immagini felici del filmino degli sposini in cui i due, difatti, si "riconoscevano".

 

Rose Leslie

Honeymoon (2014): Rose Leslie

 

Per chi scrive, Honeymoon è uno degli horror più interessanti del decennio. Un film che non ha ricevuto la dovuta attenzione.

 

locandina

Honeymoon (2014): locandina

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