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Mia madre

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su Mia madre

di Utente rimosso (Cantagallo)
6 stelle

Non si è mai pronti per perdere la madre, nemmeno quando si è figli ormai pienamente adulti.


Come nella tradizione del suo cinema fortemente personale, l’ultimo lavoro di Nanni Moretti prende vita da uno spunto autobiografico ma universalmente condivisibile, quello della malattia e del lutto materno, per soffermarsi su un momento di crisi personale che può coincidere con l’età matura e in particolare con la perdita della generazione precedente. Un titolo, Mia madre, che se da un lato non lascia dubbi sulla natura privata dell’ispirazione dall’altro in parte nasconde il gioco di ingresso e uscita da se’ stesso che invece il regista costruisce intenzionalmente, forse consapevole della necessità di smarcare il potenziale egocentrismo che lo caratterizza. Il risultato è effettivamente più equilibrato di quanto ci si attenderebbe e anche abbastanza articolato: Nanni Moretti non rinuncia a stare anche davanti alla macchina da presa ma questa volta si riserva un ruolo di affiancamento alla protagonista nel personaggio del fratello, quasi assumendosi un compito di guida e di sostegno, mentre nel ruolo principale affidato a Margherita Buy troviamo il suo riflesso declinato al femminile, ovvero una regista alle prese coi problemi sul set e con una situazione sentimentale indefinita. E proprio il set offre un’altra opportunità di osmosi tra una dimensione privata e una dimensione pubblica che vuole essere molto attuale, poichè la pellicola in lavorazione segue le vicende di un’azienda in trasferimento a proprietari americani che pianificano licenziamenti.


Meno ambizioso e più misurato rispetto ad Habemus papam, Mia madre mostra i suoi punti di forza nella presenza sempre adeguata di Margherita Buy e nell’ottimo feeling tra lei e Nanni Moretti, nonchè in alcuni momenti sinceri che, nonostante qualche sbavatura (l’episodio della distruzione dell’auto, quello del promotore che chiede di vedere le bollette e la reazione esagerata di Margherita alla difficoltà della madre di deambulare sortiscono un certo effetto di disorientamento a livello stilistico) possono valere non solo come omaggio alla madre del regista ma anche come condivisione dell’esperienza comune di assistenza ad un genitore malato, una vicinanza fatta di gesti banali, piccole preoccupazioni e parole minori con cui si cerca di non pensare al cambiamento irreversibile che sta per compiersi.


Accettando però di razionalizzare, considerato che stiamo comunque parlando di un film, è inevitabile notare che se da un lato l’aver trasferito fedelmente nella sceneggiatura scampoli di realtà vissuta, e cioè situazioni e dialoghi così come impressi nella memoria del regista, si riveli garanzia di autenticità, dall’altro proprio la mancanza di una rielaborazione finzionale e drammatica del soggetto si palesa a spese della tensione narrativa, che procede per stazioni senza acquisire particolare forza e senza raggiungere l’acme della “passione” intesa come patimento.

 

Sul set del film di Margherita si svolge la parte evidentemente speculare e compensativa, quella che alleggerisce, in modo piuttosto programmatico, il tono della pellicola soprattutto a causa delle intemperanze della star americana impersonata da John Turturro - personaggio esclusivamente funzionale - una parte comica a tratti anche se mai davvero brillante o coinvolgente. Una battuta però colpisce a questo proposito: “Voglio sentire l’attore accanto al personaggio” dice Margherita ai suoi attori, incoraggiandoli così a non confondere l’eccessiva immedesimazione nel personaggio con la miglior resa recitativa, a non scambiare identificazione e interpretazione.


L’esperienza della visione può indurre reazioni differenti anche in base alla sensibilità personale. Volendo apprezzare, oltre alla condivisibilità umana della vicenda, anche il carattere più strettamente filmico dell’opera e cioè soffermandosi su soggetto, sceneggiatura, dialoghi, costruzione formale e drammatica, in altre parole interrogandosi su quanto “cinema” ci sia dentro il film, a mio parere Mia Madre non si candida ad essere annoverato tra le pietre miliari del cinema di Nanni Moretti, che si limita in questo caso ad una regia corretta, nè come un film che possa rappresentare un cambio di passo o un traino per traghettare il cinema italiano fuori dallo stallo creativo in cui si trova. E’ però un lavoro rispettabile, altalenante ma fondamentalmente onesto.

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