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Mia madre

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su Mia madre

di maghella
6 stelle

Margherita (Margherita Buy) è una regista affermata, con una vita privata non troppo stabile, una madre morente ricoverata da settimane e una figlia adolescente. Il film fotografa un momento difficile di Margherita durante le riprese del suo film e il doloroso accudimento della madre in ospedale.

Quando si ha un proprio caro morente, o comunque in difficoltà e indifeso in un letto, si scoprono cose del rapporto che ci ha legato con lui che ci erano fino a quel momento sconosciuti, o che erano rimasti nascosti in qualche “angolo” buio del proprio cuore.

Di un affetto importante come quello materno, si danno scontate molte cose; quando questo affetto viene a mancare, il vuoto che lascia è talmente tanto e improvviso, che si cerca sollievo nelle piccole cose -scontate- che lo avevano alimentato in tanti anni.

 

Nanni Moretti, cerca di raccontare il suo dolore, la sua esperienza per la perdita di sua madre avvenuta proprio durante le riprese del suo film precedente “Habemus Papam”. Raccoglie quelli che devono essere stati i suoi stati d'animo di smarrimento e di inadeguatezza per una perdita che dovrebbe essere naturale, ma alla quale non si è mai del tutto preparati: la difficoltà di portare avanti il proprio lavoro con lucidità, di essere il padre che un figlio ha comunque il diritto di avere sempre, senza doversi rifugiare nella più “semplice” figura di figlio. Cerca di raccontare questo suo stato d'animo attraverso Margherita e di mettere tutto sotto una luce femminile, ritagliandosi per lui la parte del fratello.

 

In effetti Margherita Buy recita Nanni Moretti, fa Moretti, ed è stato facile per me immaginarmela nei suoi panni. La figura del fratello (e quindi di Moretti stesso) non è altro che quello che Moretti-Margherita avrebbe voluto essere: il figlio che smette di lavorare per poter elaborare meglio il proprio dolore e il lutto, quello che accudisce la madre in ogni momento, che ha il tempo per starle accanto senza altri impegni affettivi. Questa duplice figura di figlio-fratello è la cosa che mi ha incuriosito e interessato di più, di un film che suo malgrado non riesce a decollare del tutto, rimanendo scollacciato in molti episodi più o meno divertenti, senza toccare mai la corda giusta della commozione. Rimane un film personale, chiuso nei molti cassetti delle emozioni del regista.

 

Molto divertente quella che è la parte dedicata a Margherita regista alle prese con l'attore straniero Barry Hugging (uno strepitoso John Turturro). Meno convincente Margherita figlia e madre. Troppe le scene-episodi che cercano di raccontare ogni piccolo aspetto del dolore crescente di Margherita. Diventa quasi ossessiva la voglia da parte del regista di essere sicuri di non essere travisato.

 

Se ne “La stanza del figlio” il dolore di una perdita del figlio era solo immaginata, quella della perdita della madre è stata provata sulla pelle del regista, che forse proprio per questo (a mio parere) non riesce a trasportare sulla (pur bravissima) protagonista tutto il trasporto emotivo, rimanendo sospeso tra le tante scene.

 

Il film doveva altalenale tra il ridere e il piangere, come spesso accade durante i momenti più complicati della vita. Invece si sorride molto, ma non ci si commuove realmente, si rimani estranei e privi di empatia per qualsiasi personaggio presente.

 

Rimane comunque un film carino e divertente, recitato benissimo, ma non completamente riuscito, e sicuramente non all'altezza di partecipare ad un Festival come quello di Cannes, se non fosse per la presenza di Giulia Lazzarini, che mi auguro sia premiata come merita per una interpretazione perfetta.

E' proprio la presenza di questa brava attrice ottantenne (81 per l'esattezza) a dare al film quel tocco speciale che altrimenti non avrebbe e forse ad essere l'unico vero elemento importante sul quale era forse meglio soffermarsi di più.

 

Ho trovato confusa la scelta narrativa della storia, che si sbroglia tra realtà, sogni e ricordi, non permettendo a chi segue il film di poter sentire realmente una emozione, ma di averne così solo una vaga panoramica.

 

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