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Il giardino delle delizie

Regia di Lech Majewski vedi scheda film

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La recensione su Il giardino delle delizie

di Kurtisonic
8 stelle

Claudine Spiteri, Chris Nightingale

Il giardino delle delizie (2004): Claudine Spiteri, Chris Nightingale

 

“..La simmetria è l’estetica degli stolti..” (Il giardino delle delizie).

Il binomio arte e vita è indissolubile nel cinema del regista polacco Lech Majewski, lasciandoci scegliere in che misura una parte possa entrare nell’altra fino a diventarne un elemento di riferimento costante.  Se però autori come Peter Greenaway rielaborano l’arte, e la pittura nel suo specifico, dentro una visione che ne rivela l’universalità e il senso comune, senza affrancarsi mai dalla rappresentazione collettiva  in cui il singolo individuo non è che una pedina di scambio nei confronti di una realtà che prescinde da qualsiasi pregiudizio morale o estetico, Il giardino delle delizie evidenzia invece l' individualismo, la sua solitudine,  il tentativo di mettere sullo stesso piano la propria esistenza microscopica con la grandezza assoluta dell’arte, per  elaborarne una forma di ricordo, di nuova memoria. Il film prende il nome dal trittico di Hieronymus  Bosh, sul quale la protagonista femminile Claudia, studiosa d’arte  sta elaborando il suo dottorato.    Dalla complessità dell’opera sembra che se ne estrapolino quelle poche componenti che una vita per quanto intensa, felice o complicata che sia non possono che rappresentarne la minima parte. Come può essere minimale la traccia narrativa del film, una love story a Venezia ripresa totalmente con una piccola videocamera  da Chris, ingegnere nautico e compagno di Claudia. Grazie ad un notevole senso estetico ed  un’attenzione compositiva molto precisa, la casualità e la disomogeneità delle immagini trasportano da subito oltre l’apparenza dell’inquadratura, ma emerge tutto il loro significato sia quello simbolico che quella immediatezza emotiva che guida la mano dell’uomo.  I movimenti  consueti  che connotano la ripresa a mano libera diventano le pennellate dell’artista, il volto, le parole, il corpo di Claudia diventano tela sempre più drammatica, con momenti di vita da sottrarre allo sbiadimento, all’annullamento del tempo. In quello che si rivela un utile o meno svelamento di un doppio rimando fatto di significati, testimonianze, slanci autentici di passione e attimi di disperazione, forse manca  qualche fase di distacco da parte del regista, perché seppure coerente con la linea dichiarata di Chris, “Io riprendo tutto” è pur vero che di fronte ad uno sguardo in macchina che diventa un’ossessione confessionale di Claudia, è improbabile che non venga meno il desiderio di registrare gli eventi , dolorosi, che peraltro coinvolgono lo stesso operatore di ripresa. Majewski sceglie sempre di tenere il campo a fuoco sulla donna, forse provocatoriamente  aprendo qualche interrogativo sulla funzione di Chris, sui suoi reali sentimenti, completati non tanto dall’umanissimo sfogo finale, ma dalle immagini d’apertura , enigmatiche prima ma aperte ad una rilettura del tutto legittima. Da un discorso generalizzato sullo stato dell’arte e del cinema (che il regista compie nel senso opposto di quello che hanno denunciato altri grandi autori ma con l’identica finalità di dare del contenuto alla cultura invadente delle immagini) Il giardino delle delizie sfiora il pericolo della lectio magistralis, senza tuttavia farne pesare il senso. L’umanità, la freschezza e la spontaneità di Claudia anche quando si mette in posa per lo schermo trasudano verità e pratica del quotidiano invisa alla banalità.  Invitano forse a riflettere su quel bisogno di vedere immagini significative che come ogni estensione artistica pura hanno la capacità di dare voce all’inesplicabile, a parole che non si possono pronunciare altrimenti.

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