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Spartacus

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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La recensione su Spartacus

di giansnow89
9 stelle

Primo caso di pietra miliare involontaria e indesiderata?

La straordinarietà, direi quasi l'unicità, di Stanley Kubrick risiede anche nell'aver associato il proprio nome ad un colosso assoluto nel suo genere senza volerlo, dopo averlo ripudiato, non avendolo mai amato come altri suoi figli prediletti. Spartacus è il suo lavoro più anomalo, il meno personale, il meno vissuto. Persino Paura e desiderio, altra opera da cui il Maestro prese sempre le distanze, derubricandola a esercizio balbettante post-adolescenziale, conteneva in nuce più di un elemento kubrickiano, e il tempo ne ha riabilitato il valore storico. Ma Spartacus, nel suo divismo sfacciato, nel suo essere prodotto clamorosamente hollywoodiano, nel suo stesso essere un peplum, genere per le masse per antonomasia, non può essere certamente classificato fra i cimenti che hanno forgiato la leggenda di Kubrick, indipendentemente dalla genesi controversa che l'ha contrassegnato. Vige quindi una certa qual prurigine urticante quando il discorso verte su Spartacus: non c'è una traccia tangibile, indelebile del suo ingegno, dunque è un'opera minore. Niente di più errato. Il film aderisce senza dubbio ai codici condivisi del peplum di quegli anni: manicheismo netto, marzialità dei discorsi, rigidità dei personaggi, esaltazione delle virtù virili, stucchevoli liaison amorose, buonismi, set sontuosi, persino il lusso dell'Overture e dell'intermezzo musicale. Il pubblico basso cui era indirizzato non avrebbe certo accettato troppe variazioni sul tema. Cionondimeno, Spartacus ha ben poco altro a che spartire con i mattoni di DeMille, Mankiewicz, LeRoy. Mostri informi, di cui riesce difficile distinguere testa e coda: generalmente si prova fascinazione verso il peplum non per i suoi messaggi latenti, ma per le sue forme sinuose, contortissime ma avvolgenti. Spartacus è nei suoi 198 minuti un'opera di stordente essenzialità. Nulla di superfluo viene messo in scena: tutto è funzionale all'agire dei personaggi, e all'andamento della storia. La precisione scientifica e il pathos che precede la grande battaglia (questa sì, tutta farina del sacco del maestro), la crudeltà inaudita dei due combattimenti gladiatorii che vedono protagonista Spartaco, la doppiezza morale (e sessuale) di Crasso, i siparietti di alleggerimento dei due grandi caratteristi (Ustinov e Laughton), tutto concorre ad arricchire la pellicola, senza saturarla, senza sovraffollarla, chiunque sia l'autore e l'ideatore di questa o quella scelta. Discrezione ed equilibrio. E un risultato sensazionale. Certo, Kubrick avrebbe voluto sfruttare il soggetto per dare più spazio alla dialettica fra classi e alla polemica sociale, e invece si è trovato a dover insistere, suo malgrado, più sui pettorali e sulla fossetta di Douglas, e sulla sua struggente storia amorosa. Non sapremo mai quante decisioni sono state prese dal Maestro e quante no, e in quale percentuale questo film sia suo. Sappiamo per certo che nel suo genere, è il non plus ultra assieme a Ben-Hur. Può andare peggio. 

 

 

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