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Cinquanta sfumature di grigio

Regia di Sam Taylor-Johnson vedi scheda film

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La recensione su Cinquanta sfumature di grigio

di alan smithee
2 stelle

 

Regola numero 1: io non faccio l'amore, io scopo duro..... Per fortuna la regola numero due ci viene risparmiata, ma solo fino a quando “l'uomo che non deve chiedere” non sbatte in faccia alla donzella innocente vestita in modo seducente allo stesso modo e stile di Olivia di Braccio di Ferro, un vero e proprio trattato, quasi una manleva dettagliata stilata da fior di avvocati (cosa non si fa per i soldi...e poi parlano di prostituzione...) in cui il milionario che si è fatto da sé elenca tutta una serie di numeri (da circo) indispensabili per fargli raggiungere l'apice dell'appagamento sessuale.

L'incontro tra una laureanda in letteratura ed un brillante uomo d'affari fattosi da sé, avviene quasi per caso quando la prima si offre di sostituire un'amica coinquilina laureanda in giornalismo, influenzata, nell'intervistare il celebre affascinante imprenditore per un articolo relativo ai fondi da questo abbondantemente stanziati a favore della università frequentata da entrambe.

Insomma la innocente ed inesperta Anastasia Steele riesce col suo candore e la sua ritrosia impacciata a fare breccia sull'uomo apparentemente più cinico e tenace, freddo e calcolatore che la ragazza abbia mai incontrato: un Christian Grey che fisicamente e caratterialmente sembra un emulo meno efferato e temporalmente un pò ritardatario, dell' implacabile American Psycho di Brett Easton Ellis.

Lei naturalmente e comprensibilmente infatuata della bellezza scultorea del ragazzo; lui invece, attratto dal candore sfacciato della giovane, dalla curiosità che spinge la studentessa ad inoltrarsi in un mondo di perversioni distante anni luce dalle proprie esperienze ed attitudini.

Esiste davvero qualcosa di nuovo o interessante che possa ricavarsi da questa esile storiella che ricalca decine di altri filmetti soft visti e rivisti, certo dimenticati o tenuti come esempi scult da citare come baluardi di un cinema devastante da cui tenersi lontani?

Siamo davvero, qui più che mai e dopo anni ormai, sulle orme del cinema patinato inutile e fatuo dello Zalman King più sconsiderato, di fine anni '80, quello di Congiunzione di due lune e di Orchidea selvaggia.

Altro che Adrian Lyne! Regista che ho sempre rispettato e che al confronto ora esalto e rimpiango, con i suoi film di successo certo calcolati, ma dignitosi, girati bene, interpretati da grandi nomi ancora oggi indimenticati.

Il film della sconosciuta Sam Taylor-Johnson (preziosi informatori mi hanno avvisato che, contro ogni apparente previsione, si tratta di una donna, circostanza questa che non depone proprio favorevolmente per la categoria) - tratto dal primo libro di una trilogia di gran successo che non ho mai avuto la tentazione di iniziare a leggere, ma che, se ricalca come pare la trasposizione cinematografica, fa davvero rimpiangere certe altre furbate seriali come la trilogia scandinava di Stieg Larsson, al confronto più che dignitosa – si tradisce già dal titolo con la totale mancanza di sfumature, sostituite da una storiella monocorde, davvero incolore e impudicamente scontata che punta unicamente a provocare tiepide emozioni testosteroniche ad un pubblico tipicamente femminile che purtroppo ci casca alla grande; una folla che già al primo giorno di uscita ufficiale, riempie le sale italiane, letteralmente egemonizzate anche numericamente da questa insulsa, insopportabile pellicola che come il libro suscita un richiamo evidentemente irresistibile.

Davvero un peccato che ci si soffermi così tanto e a lungo su furbate senza valore e banalità come questo film e sul volume da cui questo scempio è tratto.

E se l'interprete femminile - quella Dakota Johnson figlia di celebrità anni '80 forse passeggere ma certo indimenticate come Don Johnson e Melanie Griffith, nonché nipote della platinata eroina hitchcockiana ancor più effimera dei primi due, ma anche indimenticabile ed imprescindibile quale è Tippi Hedren - si dimostra quantomeno curiosa, anomala, originale per quel suo aspetto esteriore frutto di una simbiosi tra il bel volto paterno tutto occhioni cerulei, unito un po' incidentalmente al gran fondoschiena di mamma Melanie, cosa diversa accade per il voluttuoso, fisicamente irresistibile lato maschile.

Il macho di turno, più che mai oggetto di desiderio - quel Jamie Dornan pescato chissà dove, ma dal gran portamento in grado di suscitare gridolini, entusiasmi e soddisfazioni da parte di un pubblico prettamente femminile, qui più rumoroso e grossolano del solito - appare per tutto il film con la fissità catatonica e monocorde di un'unica espressione da duro, che al confronto tramuta in attori sfaccettati ed espressivi certi irriducibili pesci lessi e stracotti del calibro di Stallone e del collega Chuck Norris.

Usciamo soddisfatti dalla sala dopo la dimostrazione quasi scolastica, come dovesse trattarsi della soluzione di un complicato originale teorema, che l'amore vero ed i sentimenti riescono alla fine a piegare anche il più duro ed irriducibile dei viziosi, per potente ed inarrivabile che egli sia?

Tutt'altro, dato che l'unica emozione, lieve soprattutto perché fugace, ce la regala proprio ad inizio film, un incipit con il sottofondo dello splendido adattamento di Annie Lennox della canzone “I put a spell on you”, tratto dall'ultimo emozionante album di classici della cantante britannica, Nostalghia.

Per il resto il film resta un pasticcio insopportabile, insulso e freddo pure nelle scene di sesso: le quali, dopo un paio di minuti di ripetute, insistite patinate nudità, si organizzano ripetitivamente in un banale carosello in grado di assopirci anche quando le fruste, le catene, e tutti gli altri giochini perversi vengono tirati fuori dagli armadi.

Oggetti maliziosi, simboli saturi ed invadenti della scellerata, inconsistente, irrinunciabile voglia di fare soldi facili e sinonimo di un successo annunciato ingannando la credulità popolare e l'umano, ma a volte condivisibile, desiderio di divertirsi che avvertiamo tutti noi, magari sotto forma di una esigenza di svago anche senza troppe pretese, ma almeno restando nei limiti della decenza, qui decisamente valicati, e non certo per problemi di moralità o abbondanza di nudità.

 

 

 

 

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