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Casa Grande

Regia di Fellipe Barbosa vedi scheda film

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La recensione su Casa Grande

di maurizio73
5 stelle

Uno zazzeruto A.Doinel in salsa carioca che traguarda dai suggestivi scenari preolimpici della Cidade Maravilhosa un futuro di riscatto e indipendenza dalle ipocrisie di chi ostenta lussi immobiliari e convinzioni classiste, bazzicando tuse barricadere e virginali e saltando a piè pari il rituale della prova di maturità di un ingombrante lignaggio.

Cresciuto in una famiglia dell'upper class di Rio De Janeiro, l'impacciato adolescente Jean viene iniziato al sesso dalla disinvolta governante Rita ed ai sentimenti dalla sua coetanea Luiza, una ragazza meticcia della favela con cui condivide interessi e passioni. La crisi finanziaria dei genitori e la scoperta della sua liaison con l'inserviente, lo porteranno inevitabilmente a scontrarsi con i genitori ed ha maturare una nuova e più libera consapevolezza di sè.

 

locandina

Casa Grande (2014): locandina

 

Sotto l'egida mecenatesca del Sundance Institute e sulla falsariga di un cinema sudamericano da tempo orientato all'analisi critica dello spaccato sociale contemporaneo, il giovane Fellipe Barbosa sceglie la carta di una commedia drammatica che cala il classico plot del racconto di formazione nella dimensione di latenti contraddizioni etiche e politiche in cui sembra versare una agiata famiglia brasiliana, dietro la serenità solo apparente celata dalla facciata di una sfarzosa magione con domestici, piscina e parco auto inclusi. Senza calcare troppo la mano sul versante di una escalation drammaturgica tenuta costantemente in sordina, nè su quello della pruderie di un rapporto ai limiti dell'incesto dove si parla tanto e poco si intravede, ne esce un film che pur nei buoni propositi dei temi e del registro latita su quello della tensione psicologica e del racconto sociale, scivolando lungo i risaputi binari del facile didascalismo che ci dice come i figli trascurati di una borghesia finanziaria in bolletta possano essere meglio svezzati dalla sanguigna vitalità di una housemaid di facili costumi e meglio educati dalle attenzioni affettive di un proletariato domestico dai saldi principi morali. Insomma un rabbonito e zazzeruto Atoine Doinel in salsa carioca che traguarda dai suggestivi scorci preolimpici della Cidade Maravilhosa un futuro di riscatto e indipendenza dalle ipocrisie di chi ostenta lussi immobiliari e convinzioni classiste, bazzicando tuse barricadere e virginali e saltando a piè pari il rituale generazionale della prova di maturità cui lo ha destinato la tara di un ingombrante lignaggio.
Tutto troppo facile e scontato e per certi versi anche noioso, il cui peccato niente affatto veniale è quello di sperperare gli interessanti guizzi di una regia non banale, dall'incipit che il coupe de theatre di una sorprendente musica intradiegetica trasforma in un vero e proprio manifesto poetico al canto di libertà (sociale, culturale, sessuale) della bellissima e sensuale 'Xote do Casal' (Forrò in the Dark), musica di importazione del Nordeste che le classi meno agiate hanno rielaborato dalla tradizione dei padroni bianchi quale inno di gioia e di libertà ad una vita di stenti e di sottomissione.
Resta un'opera ibrida, dove le ambizioni d'autore della saudade di una giovinezza senza ritorno si confrontano con la struttura convenzionale di un racconto che dice meno di quello che vorrebbe, trascinandosi fino alla indolente esemplarità di un finale di ribellioni piagnucolose e chiudendosi con il fumo dopo l'amore e la nuda bellezza di un corpo steso sopra un letto nella radiosa e misera dimora di una casa tutt'altro che grande. Tra gli interpreti, menzione speciale per la tenera goffaggine del giovane Thales Cavalcanti nella parte dell'omonimo Jean (Cavalcanti) e per la efebica sensualità della Rita di Clarissa Pinheiro. Generale consenso di critica per un film che ha riscosso successi un pò in tutto il mondo.
Les souffrances du jeune Jean.

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