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La teoria del tutto

Regia di James Marsh vedi scheda film

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La recensione su La teoria del tutto

di amandagriss
7 stelle

 

 

L’ossessione del tempo.

Il tempo come assoluta, suprema costante della vita. Degli uomini e di quel cantuccio periferico in cui dimorano, nella vastità dell’universo.

Il tempo, che non si ferma mai, che scorre inesorabile veloce o lento, spietato tiranno o fraterno alleato.

Come una certezza, come una condanna, come un miracolo, come una speranza.

Siamo figli del tempo e siamo noi a dargli un senso, a scandire il suo incessante incedere misurandolo con i nostri sogni, le nostre intenzioni, le nostre azioni. Che ci proiettano in avanti, oltre il concepibilmente umano, strutturando l’esistenza e riempiendola di essa. Creando il nuovo dal nulla.

Il tempo come (la pellicola di) un film, dove si può svolgere e riavvolgere la vita, annotare i momenti fondamentali, belli e brutti, quegli eventi che hanno contribuito a forgiarci nelle persone che oggi siamo diventate.

Cosa saremmo e penseremmo, se potessimo essere diversi da ciò che siamo?

Ed annullarci come (prodigiosa) singolarità nella indistinguibile moltitudine massificata soltanto perché siamo quello che mai avremmo voluto essere?

 

 

 

Accettarci, e avere la fortuna di incontrare sul nostro sentiero solitario, tortuoso e sdrucciolevole, chi può salvarci da una sentenza senza appello, per il tempo necessario a prendere atto della nostra nuova realtà, presente e futura, per il tempo necessario a muoverci con familiarità nei panni che ora vestiamo. E al momento opportuno, caricarci di tutta la forza possibile e di tutto l’amore di cui siamo capaci, mettendo da parte ogni forma di egoismo, per lasciar andar via, salvandolo, proprio colui che un tempo ci ha preso per mano e guidati fino ad oggi, perché oramai sappiamo ‘stare in piedi’ da soli.

 

        

 

Il regista James Marsh dopo il film documentario Man on wire (2008)  [in cui si racconta dell’impresa straordinaria da parte del funambolo Philippe Petit, che nel lontano 7 agosto 1974 attraversò in equilibrio un cavo metallico teso tra le Twin Towers del World Trade Center, sospeso oltre i 400 metri d’altezza],

 

      

 

sceglie ancora una volta di cimentarsi in storie d’umana eccezionalità, probabilmente per far luce nelle innumerevoli profonde pieghe delle risorse dello spirito, col fine di ca(r)pire fin dove possiamo spingerci oltre i nostri evidenti limiti fisici, quanto il nostro respiro vitale, le cose in cui crediamo, i progetti che intendiamo concretizzare, il domani che, instancabili, rincorriamo costituiscano il cuore pulsante della nostra esistenza,

quanto questi stessi diano peso e forma a quel ‘perché’ che pare renderci invulnerabili, che ci fa alzare di scatto da una comoda vecchia poltrona, uscire in strada e sfidare -emozionati, impauriti, elettrizzati- il mondo.

 

 

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