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Eisenstein in Messico

Regia di Peter Greenaway vedi scheda film

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La recensione su Eisenstein in Messico

di Kurtisonic
7 stelle

Elmer Bäck, Luis Alberti

Eisenstein in Messico (2015): Elmer Bäck, Luis Alberti

Questa volta le riflessioni d'artista di Peter Greenaway si esplicano senza nessuna metafora, si ripercorre un breve e fulmineo momento della vita di Sergej Eisenstein transitato in Messico dopo un'esperienza cinematografica fallimentare negli Stati Uniti con il permesso del potere sovietico per girare un film che non vedrà mai la luce. Il regista inglese sembra ritornato ad una prolificità che ha generato racconti sempre incentrati sul binomio vita e arte, in particolare con letture che legano l'immagine alla pittura e all'architettura, al ruolo sociale e culturale che le arti possono rappresentare nella realtà, senza mai rinunciare a sporcarne in modo viscerale la loro intima identità sostenuta dalla figura dell'artista, del creatore, prima di tutto un essere umano affatto esente dall'incarnare debolezze, aspirazioni discutibili. Questa forma di umanesimo pensante e carnale in misura uguale si esprime anche in questo lavoro usando la consueta ironia, la provocazione barocca, la maniacalità del dettaglio ma anche accantonando l'affondo violento, anche solo teorico che ha caratterizzato quasi totalmente l'intera produzione precedente. Dai ricatti sessuali di Mr Neville il pittore di Compton House, alla tragica impotenza dell'architetto Kracklite con il suo prorompente ventre, per finire ai compromessi morali del recente Goltzius e la sua compagnia di teatranti sono alcuni parziali esempi. La stretta commistione fra vita comune e quella d'artista si rivela quasi irrealizzabile nella convivenza pratica, il sacrificio che viene richiesto risulta sempre a carico dell'artista, mentre l'uomo arbitrariamente può tradire e smentire se stesso. Un meccanismo regolatore di morte riequilibra ogni controversia morale, e il rapporto con la morte si rivela sempre come dato forte delle tematiche di Greenaway. L'ammirazione e la stima verso Eisenstein però in questo caso giocano un ruolo fondamentale, la creatività indiscutibile, la caparbietà, l’innovazione, e il coraggio di sperimentare contro ogni regola da parte del cineasta  russo superano la causticità e il pessimismo più ricorrenti, ne patisce un poco il protagonista verso il quale si riversa una compiacenza a tutto tondo anche se Greenaway approfitta soprattutto  dell'indiscutibilità artistica del  regista russo per tirare le somme del vivere d'arte o di ricercare per essa una salvifica deriva. Cosi quasi inaspettatamente il film riscuote larghi consensi della critica come non succedeva da tempo. Che sia un segnale che Greenaway cercasse, lo scopriremo nel futuro per come saprà porsi nei lavori che seguiranno. Assistiamo ad una giocosa e gioiosa irruzione di Eisenstein nella realtà, libero da ogni forma di controllo e di limite, alla scoperta della vita, delle passioni. Facendo sfoggio muscolare di inventiva tecnologica, il regista non perde l'occasione di fare il punto dello stato dell'arte, quella cinematografica una delle più amate, dove la bellezza del raccontare si somma alla dimostrazione, dove la forza dell'attrazione sa evocare la scoperta senza fine del sapere e della cultura. Eppure le riproposizioni un po’ manieristiche di Greenaway non sono mai uguali,  c'e sempre qualcosa di  nuovo da mostrare, che rimanda ad altro che si è tralasciato o che semplicemente non si conosce trasformandola in piacevole ritrovamento.  Curioso che un autore che viene sempre identificato come un intellettuale in senso negativo, cioè escludente, non manchi mai nelle interviste o nelle sue elucubrazioni sull'arte di mettere in primo piano l'umanità, la casualità, e lo spontaneismo dell'artista che sembrano invece confliggere con quel pedigree specifico che vede nell'artista un colto espressionista della conoscenza. Il film si divide in maniera netta nelle due dimensioni e  mostrando il volto più umano e fragile di Eisenstein evidenzia il conflitto temporale fra il momento della creazione e attimi fuggenti di passione, di vita e di amore. In questa parentesi messicana Eisenstein conosce l'amore più fisico e scandaloso per quei tempi, innamorato della sua guida locale, Palomino Canedo, fraziona sfrenati atti di vita di cui ne possiamo immaginare una successiva e lontana rielaborazione destinata a generare qualcosa di artisticamente compiuto. L'amara constatazione a cui vuole indurci Greenaway e' proprio questa frattura dell'attimo creativo con gesti di vita, con l’intima condizione umana,  ai quali affinchè si possano trasformare, sarà  necessario rinunciarvi e prenderne sentimentalmente le distanze. Sarà la soluzione per cercare  la via all’immortalità, o più modestamente di fissare il proprio ricordo nel tempo? L'irrealtà artistica è più che mai un espressione tangibile di una quotidianità attenta e vissuta, ma solo con una costruzione più mediata  può catturarne il senso e l'anima. Palomino, sposato con figli  scopre l’omosessualità di Sergej, e la rinuncia ad essere loro stessi fino in fondo farà guadagnare al messicano la normalità, mentre al russo un’ amarezza che solo in parte la grandezza della sua arte saprà contenere ed evocare. Omaggio dunque all’uomo e alla sua arte, Greenaway non sfida sotto forma di citazione la teoria del montaggio del maestro, ma in qualche scena la costruzione e l’apparato tecnologico visivo che adotta è davvero notevole, divergendo da quello che può far intuire  la raffigurazione storica. Come invece suo solito, i personaggi sono del tutto esenti da psicologismi particolari, corpo ed espressione della mente interessano il regista, non cosa sta loro dentro. Anziché tendere alla perfezione, il regista fa il percorso inverso, da una visione apparentemente finita cerca l’imperfezione, il punto di rottura e come un teorema riesce a dimostrare come quello sia l’elemento decisivo per la sua riuscita.   

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