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Marie Heurtin: Dal buio alla luce

Regia di Jean-Pierre Améris vedi scheda film

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La recensione su Marie Heurtin: Dal buio alla luce

di amandagriss
8 stelle

 

“sei la figlia della mia anima, sei la luce della mia vita”

 

Quando agli occhi del mondo sei invisibile, quando nessuno si ferma ad ascoltare la tua voce, ad accogliere il tuo dolore, comprendere i tuoi bisogni, interpretare la tua inquietudine;

quando sei solo, a vagare senza meta né scopo nella struggente bellezza del creato che ti è negato conoscere, è possibile che un evento straordinario, una specie di miracolo, incroci il tuo cammino incerto, sbandato, disperato, per stenderti finalmente una mano.

Incarnato in qualcuno simile a te, ugualmente, intimamente solo e scalpitante di vivere la vita, di tuffarcisi dentro e riempirla di senso, per quanto faticoso possa risultare, per quanto rischioso e inutilmente vano possa sembrare, e far nascere da un niente, arido/sterile, qualcosa di buono, di bello, di vivo. Di duraturo.

Oltre se stessi, oltre il tempo concesso, oltre la morte.

 

Nell’800 una giovane suora dedica la sua breve vita all’educazione di una ragazzina sordomuta e cieca. Riuscirà a farla uscire dall’isolamento in cui le sue condizioni fisiche l’hanno costretta fin dalla nascita. Imparerà ad inserirsi nel mondo, a stare insieme agli altri, a ‘sentire’, ‘parlare’ e ‘vedere’ come chiunque altro. E, grazie all’amorevole, caparbio insegnamento ricevuto, sarà d’aiuto ad altre ragazzine come lei, che potranno così liberarsi da quella prigione senza sbarre fatta di silenzio assordante e di oscurità attanagliante.

Nonostante il tema, non proprio nelle corde di un pubblico vasto, il film si apre alla portata di tutti, indistintamente, perché riesce a dribblare con intelligenza l’insidiosa nonché obbligatoria trappola del patetismo strappalacrime, affrontando la gravità del contenuto con tocco lieve, mitigandone l’insito carico drammatico attraverso l’aggiunta di venature ilari mai fuori posto, che consentono alla delicata materia trattata di mantenere uno sguardo gioioso ed un approccio costantemente a misura d’uomo, utile a spogliare il personaggio della giovane monaca di quell’aura di abnegato eroismo, quasi sovraumano, di cui tale tipologia è spesso ammantata.

Ma al regista non interessa limitarsi a raccontare l’episodio, come non gli interessa soffermarsi sulla ricostruzione filologica degli stadi del ‘processo educativo’ che hanno portato alla creazione dal nulla di un codice linguistico con il quale permettere alla ragazzina di interagire con il mondo, di farne parte attiva. Piuttosto, vira la sua attenzione sul legame ombelicale, simbiotico, che si stabilisce tra la suora e la piccola.

L’una diviene lo specchio dell’altra, l’una il prolungamento dell’altra, l’una la ragione di vita dell’altra.

Ed è allora che il film assume una valenza universale, suggerendo la visione anche ad una meno circoscritta fascia di pubblico.

Ed è allora che la commozione tracima, investendo con la sua forza dirompente lo spettatore.

E mentre la meticolosa amplificazione di ogni dettaglio sonoro viene utilizzato per sottolineare il contrasto tra chi può naturalmente ascoltare -ed è così avvezzo a farlo da non prestare attenzione alla vastità di suoni che la natura offre ogni singolo istante- e chi, invece, è avvolto da un’impenetrabile, perenne coltre di assoluto silenzio, la presenza dei sottotitoli, finisce col vestirsi di un nuovo, profondo, struggente significato.

Dal garantire un utile (e civile) servizio ai non udenti che si avvicinano al film --- in sala era presente un gruppo formato da oltre una ventina di persone sordomute --- questi diventano parte integrante dell'opera stessa. Lo spettatore non portatore di handicap parte dal curarsene appena, perché il sottotitolato non interferisce affatto con la fruibilità della pellicola, ed arriva a ritenerli fondamentali per la sua comprensione finale.

Con un colpo di coda indovinato, emanazione della sensibilità con la quale è stata condotta l'intera operazione, il film, infatti, ribalta la situazione, chiamandolo quindi a riconsiderare la sua posizione iniziale.

Soltanto quando le parole non riempiranno più la scena ma sarà la lingua dei segni a farlo, allora costui dovrà calarsi, necessariamente, nella stessa condizione di chi non può (normalmente) ascoltare e parlare.

I sottotitoli diverranno, così, la nuova voce che lo guiderà nelle ultime, bellissime, battute, per ‘ascoltare’ quanta gratitudine e riconoscenza, ma prima di tutto amore, nutra la ragazza nei confronti di quella giovane cagionevole sposa di Dio che, nel donarsi ad un altro essere umano, ne ha reso possibile l’esistenza.

E compiuta e motivata, spiritualmente ricca, la propria.

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