Regia di Alessio Genovese vedi scheda film
«Come conseguenza dell’abbattimento delle frontiere all’interno all’area Schengen, l’Italia, come altri paesi europei, ha introdotto nel proprio ordinamento la possibilità di trattenere gli stranieri irregolari con lo scopo di identificarli e di espellerli. I Centri di identificazione ed espulsione (C.I.E.) non sono carceri. La detenzione è amministrativa, non è stabilita con un processo perché non è stato commesso alcun reato». Questo uno dei cartelli che chiude EU 013 - L’ultima frontiera, primo documentario a entrare in un C.I.E: un film che conta in primis perché rende visibile e dunque maggiormente discutibile questo luogo, il dramma delle persone che sono costrette ad abitarlo, le abitudini di coloro che lo controllano. Un campo di concentramento, i corpi sofferenti e le storie di uomini imprigionati in un disperato cul de sac. Non è possibile ottenere un ruolo, un posto nella società, un lavoro, se si è sempre e comunque clandestini. Ma se il film ascolta l’ideologia che struttura questa frontiera, nelle parole del potere, non riesce a cogliere pienamente il processo simbolico che sostiene il luogo, il rituale che lo regge, la banalità quotidiana di chi lo governa (non quanto Vol spécial di Fernard Melgar). E, purtroppo, finisce per costruire lo sdegno con retorica televisiva, nel patire della colonna sonora, nella poesia povera di cieli notturni. E usare l’ansimare di un clandestino per unire al montaggio due luoghi è un’ingenuità non perdonabile.
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