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Whiplash

Regia di Damien Chazelle vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Whiplash

di labbro
7 stelle

Non il capolavoro che ho sentito magnificare da molti, ma un buon film, capace di trascinare lo spettatore che abbia voglia di “seguire il tempo” di questa pellicola, disponibile a farsi irretire e strattonare, blandire e frustare.

 

Il regista Chazelle mette in scena una storia apparentemente lineare, ma che offre alcuni spunti che vanno molto al di là di un “film sul jazz”.

E’diretto benissimo, con quel montaggio che nella prima parte ti lascia senza fiato, ed orchestre che si muovono a metà tra la coreografia e l’esercitazione militare. Ottimi i due attori, il menzionatissimo (e premiato) Jk Simmons, e Miles Teller, che oltre a rendere bene il processo di mutazione del personaggio, ha effettivamente imparato a suonare in quella maniera la batteria.

 

Si è molto parlato di credibilità, oppure di come venga restituito l’amore per la musica. Io credo che il limite di questo genere di obiezione sia duplice.

Come ho scritto prima, non è in senso stretto un film sul mondo dei musicisti.

Certo Chazelle riprende il contesto del conservatorio e dell’orchestra, basandosi sulla sua personale esperienza da batterista jazz.

Ma quelle dinamiche descritte sono universali, potrebbero riguardare un atleta o un manager, una ballerina di danza classica o un professionista, la militanza politica o l’ambiente scientifico.

La durezza spinta sino all’estremo; il “gioco sporco” sulle debolezze dell’allievo ; la violenza psicologica; la competizione organizzata ad arte come pungolo; il reset di ogni dimensione “altra” rispetto all’impegno totalizzante su un’attività.
Si tratta di aspetti che non pochi di noi hanno vissuto in qualche ambito, in misura maggiore o minore, ma tangibile.

La domanda (molto disturbante) è : in un’epoca satolla , e tutto sommato conformista e poco coraggiosa, quanta solitudine e sofferenza siamo in grado di sopportare per emergere?
Quanto possiamo nuotare controcorrente, per poi ritrovarci vincenti, ma solitari?
Quanto siamo in grado di annullarci (per un risultato sportivo, artistico, economico, persino per un ideale politico o religioso) per raggiungere quella che riteniamo essere la pienezza di noi stessi, e delle nostre passioni?
Quanto successo e fallimento sono consustanziali, carne della stessa carne nelle nostre scelte di vita?

 

Altra questione: non emerge a sufficienza quanto amore un musicista provi per la magia che riesce a creare.
Vero sino ad un certo punto. Certamente emerge solo a tratti.
Il problema è che questo film non racconta, con ogni probabilità, la magia del jazz, e neppure la fatica ed il premio del duro lavoro, quanto l’incontro tra due ossessioni.

 

L’incubo di non riuscire a lasciare un segno di sé sulla lavagna bianca della vita e dell’arte, che il proprio scopo sia divenire il più grande batterista jazz della propria generazione, oppure quello di scovare il “nuovo Charlie Parker”, come un alchimista alla ricerca dalla pietra filosofale.

Ognuno dei due è in guerra per raggiungere il suo scopo, a volte vittima ed a volte carnefice, e comunque sempre complice , o amante silenzioso in un rapporto sado-masochistico.

E’ un inno alla passione, ma anche all’ossessione.

Perché dietro ogni ossessione, anche la più nefasta, quasi sempre c’è stato amore vero.

I due si sfidano, si scontrano e si seducono.

E solo quando Andrew scende ( o sale) al livello di scontro imposto da Fletcher, imponendo a sua volta, al resto dell’orchestra ed agli spettatori, il proprio “spartito”, la propria parossistica follia, tra cattivo maestro ed allievo si raggiunge l’orgasmo simultaneo.
Finalmente accordati sulla stessa folle velocità, posseduti dallo stesso demone, con un’occhiata di intesa soddisfatta sul ciglio della vetta o del baratro, del baratro o della vetta.

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