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Parliamo delle mie donne

Regia di Claude Lelouch vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Parliamo delle mie donne

di alan smithee
6 stelle

Jacques Kaminski è davvero un bastardo. Simpatico, bello anche a settant'anni suonati con quegli occhi da lupo minaccioso ed impaurito (una parte che solo Hallyday o Delon potevano affrontare): gran collezionatore di donne, che ama e venera come gioielli, ma di cui poi si stufa per riprendere la caccia, verso nuove prede, Kamiski è stato uno dei fotografi più noti e celebrati dell'ultimo cinquantennio, immortalatore di divi, di politici e capi di stato di ogni parte del mondo. Ora, trovato un confortevole e  lussuosissimo chalet nel versante francese del Monte Bianco, il fotoreporter decide di stanziarsi in quel paradiso da cartolina che il regista francese non fa nulla perché non sembri uno spot pubblicitario a cura dell'assessorato locale. Occasione utile allo scaltro protagonista per liberarsi dell'ultima compagna e fare infatuare di sé la bella agente immobiliare che ha diretto le trattative di compravendita (una smagrita e un po' piu' sciupata del solito Sandrine Bonnaire). La felicità in quel paradiso è vicina, tanto che pure il suo migliore amico, un chirurgo della stessa leva (Eddy Mitchell) viene a trovarlo con tutta la famiglia. Manca solo la famiglia di Kaminski: ovvero le quattro belle figlie (ovviamente una rossa, una castana, una nera, una bionda...tra queste figura Irene Jacob, la ancora meravigliosa doppia Veronica kiesloskiana) avute, manco a dirlo, ognuna da una donna differente. Uno stratagemma avventato (ma neanche poi molto) dell'amico medico riesce a radunare nello stesso giorno (e tutte con mezzi differenti...Lelouch è incredibile e completamente senza vergogna!!!) le quattro dee sue figlie. 
Non pensiate che sia finita qui perché il famoso regista francese ha ben altre cose da dire, e la trama ad un certo punto diventa pure gialla virando al noir, lasciando a bocca aperta lo spettatore che non sa se irritarsi ed uscire o restare e vedere dove quel folle di regista vuole arrivare. Ma se un po' lo so conosce, Lelouch si sa, va preso con le pinze: a partire dalla scelta, quasi sempre kitch e forzata, dei suoi titoli ridondanti (non fa eccezione naturalmente quest'ultimo), e che rischia più volte lo scult: qui ad esempio, per citarne uno, con voli ripetuti all'inverosimile di aquile, animali di ogni specie, ovunque tutti in pace fra loro (pure le volpi semi-addomesticate!!!! e un gatto piacione che se ne frega dell'aquila che svolazza come una gallina atletica tra il portico e la fontana). Uno schifo, vi verra' da pensare...e invece anche stavolta quel matto (e gran volpone) di regista riesce a salvarsi e a fare dello straripante, assurdo, manierato tessuto narrativo la sua forza, il traino per farsi seguire sin con passione. Kamiski è Lelouch allo specchio, che si compiace, svaccato e romantico, della sua vita sempre sopra le righe, puttaniere incallito che ha la furbizia di ingraziarsi le sue donne (che non sono affatto belle e oche, ma belle e pure quasi sempre intelligenti) anche le ex, che lo detestano ma in fondo continuano ad amarlo per la carogna che è, e sempre sarà.  Non dico nulla della svolta gialla, nemmeno di ciò che concerne le figlie, perché la forza del film è proprio la sfacciataggine del voler raccontare tutto e più senza preoccuparsi di debordare nell'assurdo.
Il film lo si può criticare e distruggere in ogni modo, ma ciò nonostante non lo si può non considerare a suo modo riuscito, detestabilmente riuscito, al pari di molti altri film del famosissimo cineasta francese, da sempre ebbro di donne e di incontenibile sfacciataggine e ruffianeria.

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