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Regia di Jennifer Kent vedi scheda film

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La recensione su Babadook

di degoffro
4 stelle

32 TFF CONCORSO Ancora una madre, vedova ed instabile, alle prese con un figlio di 6 anni tormentato dai mostri. Ancora un libro per l’infanzia le cui più cupe pagine prendono materialmente corpo. Ancora un bimbo emarginato che fatica ad inserirsi con serenità in un ordinario contesto scolastico e sociale, rivelando più di una stranezza. Ancora l’uomo nero delle fiabe che si fa vivo e trasforma in un incubo l’esistenza della piccola famiglia. L’horror femminile e domestico proveniente dall’Australia, scritto e diretto da Jennifer Kent, è quanto di più convenzionale, omologato ed usurato si possa immaginare. Chi cerca spaventi si rivolga altrove (e già questo basterebbe a liquidarlo, perché se non fa paura che horror è?). Qui è tutto addomesticato ed ampiamente prevedibile, tra possessioni, porte che si aprono da sole, apparizioni improvvise, rumori misteriosi, incubi ricorrenti, urla continue. A ciò si aggiungano un bimbo che vorresti ripetutamente prendere a sberle ed una madre, depressa ed isterica, che con il passare dei minuti si fa sempre più insopportabile, nevrotica e lagnosa.

Se i temi principali sono l’elaborazione del lutto (l’uomo di famiglia è morto in un incidente mentre accompagnava la moglie a partorire) e la maternità vissuta anche come sofferenza e sacrificio, lo svolgimento è desolatamente vuoto, banale ed inconcludente, persino ridondante (si sa che la protagonista soffre di solitudine, dal momento che lo si evidenzia ad ogni cambio di scena e allora perché piazzare la sequenza in cui lei contempla malinconica una coppia che si bacia felice in auto?). Ad un certo punto pare poi di assistere ad una versione, riveduta e corretta, di “Mamma ho perso l’aereo” con le diverse trappole e le ingegnose armi inventate dal piccolo protagonista. L’effetto, peraltro, è identico, con le risate assicurate in un momento che dovrebbe essere altamente terrorizzante (ma forse la regista voleva allentare una tensione che però già di suo è piuttosto inconsistente). Con un soggetto così inflazionato diventa davvero dura riuscire a sorprendere e a trovare una chiave di lettura originale: la Kent evita lo splatter, ha un paio di curiose idee (discreta, per esempio, l’animazione del libro da cui parte il tutto, più goffa invece quella di “Babadook”), ma si perde in una messa in scena anonima, al solito ipercitazionista (c’è solo l’imbarazzo della scelta) e priva di guizzi, in una sceneggiatura involuta e loffia con una storia che non riesce mai a decollare, con personaggi che appaiono e scompaiono (l’amico e collega Robbie) o sviluppati un po’ a casaccio (l’anziana vicina di casa malata di Parkinson), scenette di nessuna rilevanza (l’incontro della protagonista con le amiche snob della sorella che rimpiangono di non avere più tempo per andare in palestra), un’ironia di seconda mano (la protagonista interrotta nel bel mezzo di una voluttuosa masturbazione dall’arrivo del figlioletto spaventato), una resa dei conti roboante e rumorosa, un finale che fa sorridere nella sua ingenuità (al posto del cagnolino, un suo surrogato, anche se meno docile e affettuoso). Senza tralasciare che molti horror del passato, anche recente, ci hanno regalato personaggi femminili ben più memorabili, sfaccettati e complessi.

Qui si va sull’usato sicuro. La Kent non sa rendere vibrante ed autentico il dramma doloroso della sua strillante protagonista, il tutto così procede a tappe obbligate e per compartimenti stagni in una via crucis di inesorabile piattezza. Va bene rispettare le regole del genere, ma ripercorrerle in modo così pedissequo e scolastico serve a poco. Come tanti suoi giovani colleghi, la regista fa sfoggio delle sue conoscenze (c’è anche Mario Bava), gioca disinvolta, da un punto di vista estetico, con il cinema del passato ma nel momento in cui deve rielaborare il proprio bagaglio culturale in modo personale non va al di là del compitino corretto di cui però francamente si è un po’ stanchi. Ennesima conferma dello stato comatoso in cui si è impantanato un genere del tutto incapace di rinnovarsi: forse sarebbe il caso di rendersi conto che le vie di questo particolare tipo di storia sono inesorabilmente finite. Se però si deve esaltare il film a prescindere, solo perché è il tanto sbandierato horror in concorso, è un altro discorso: personalmente avrei preferito un film in meno in gara.

Voto: 4

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