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Shining

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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Auguste

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Shining

di Auguste
10 stelle

Parlare di Shining è estremamente complesso, non solo per l'immensa stratificazione del film a livello tematico e per la possibilità di lettura del film secondo diverse chiavi, ma anche perché si parla di uno dei miei film preferiti in assoluto e di sicuro tra le vette del cinema di un genio quale era Stanley Kubrick. Quel che è necessario ricordare è che l'operazione dello spettatore medio, del cinefilo o del critico di interpretazione del film è ad ogni modo "secondaria" rispetto al film stesso e che Shining resta un gran film a prescindere da come lo si legga e da quale messaggio Kubrick avrebbe voluto comunicare allo spettatore, anche se continuo a ripudiare l'idea di un "messaggio" da essere semplicemente e banalmente mandato allo spettatore. Il cinema è anzitutto arte. Tutto il resto scartoffie per riempire i libri e dare lavoro alla critica.
Di seguito riporterò più versioni(la prima l'ho scritta tempo fa).
1) Mi sono proposto di fare un'analisi del celebre film di Kubrick, Shining e del rapporto di Kubrick con la violenza.
Sin dalla sua uscita, nel 1980, critici ed appassionati hanno proposto dozzine di interpretazioni inerenti il film che per sua stessa natura si prestava ad una certa ambiguità di fondo.
E’ anzitutto fuori discussione che il miglior approccio ad un film del genere è quello di evitare di analizzare oltremodo la struttura ed i suoi simbolismi: il film è aperto ad ogni tipo di interpretazioni e non c’è una singola interpretazione che possa essere definita più credibile o più corretta.
La mia interpretazione del film è che esso sia una sorta di analisi della follia umana. I tre personaggi rappresentano un’apparentemente tipica famiglia americana, certo non priva dei suoi problemi, anche gravi, come vedremo.
Shining” altro non è che la luccicanza, la lucidità, dunque, in opposizione alla follia.
L’Overlook Hotel, strutturato come un labirinto, è a mio avviso, un’enorme metafora della mente umana, così come i protagonisti rappresenterebbero un modo di rapportarsi all’isolamento, alla loro condizione di esseri umani presi singolarmente e tenuti a distanza dal contatto di altri simili.
L’Overlook Hotel fungerebbe dunque non solo da metafora della mente umana, ma anche e soprattutto da “luogo di prova” dove le cavie sperimentano la solitudine. Private del contatto con altri esseri umani, le cavie ripiegano su se stesse ed entrano i contatto con i propri fantasmi. Le apparizioni nel film sono ambigue e certo oggetto di svariate analisi. Kubrick, a mio avviso, pur sbilanciandosi leggermente verso il soprannaturale e riducendo a semplici accenni la faccenda dell’alcolismo di Jack, lascia comunque l’opera incompiuta, nel senso positivo del termine, vale a dire lasciando – come nel finale di 2001 – allo spettatore la possibilità di siglare e chiudere il film, come nell’enigmatica sequenza che lo conclude. Jack è rinato? Si è reincarnato? O è sempre stato lì? Procediamo con ordine.
Come dicevo, l’hotel è una sorta di laboratorio in cui gli esseri umani – anche quelli all’apparenza socialmente ben integrati – sperimentano la solitudine ed il confronto con se stessi.
E’ dunque anche una riflessione agli antipodi di quella di Rousseau, il quale vorrebbe gli uomini “buoni” per natura, corrotti dalla società. Al contrario Kubrick raffigura l’impossibilità – quasi a riprendere Golding – di inserirsi in un contesto distante dalla società. Parafrasando lo stesso Golding, “gli uomini producono il male come le api il miele”. L’Uomo, posto a contatto con se stesso, è un assassino. E spesso lo è perché costretto, la violenza non è risultato dell’evoluzione, ma unica via per l’evoluzione stessa!
Come in 2001: l’unico possibilità di salvezza che avevano le scimmie antropomorfe, i nostri antenati, era quella di ricorrere all’assassinio dei propri simili, era quello di imporsi con la violenza.
E la celebre sequenza del lancio dell’osso esemplifica in maniera palese ed elegante al tempo stesso come la nostra linea evolutiva abbia trovato le proprie basi nella violenza e nelle armi. Il satellite altro non è che un risultato dell’osso, tramutato soltanto dai milioni di anni di evoluzione. Anche i comportamenti umani, ovattati e ridotti alla banalità anche nei semplici discorsi, sono un risultato del comportamento aggressivo dell’uomo, impigrito dalla comodità della vita, dall’assenza di limiti.
Il Monolito è un po’ il modus operandi della Divinità o del Demonio, è il deus ex machina, come lo è l’Overlook Hotel in Shining.
Il Monolito, nella sua semplice complessità, è un rimando a qualcos’altro, la sua essenza non può essere colta, è esattamente come l’Overlook Hotel.
L’ambiguità nel caso del Monolito è suggellata dalla sua apparenza, dalla forma e dal colore, penetrante e totalizzante.
Nel caso dell’Hotel, invece, l’ambiguità non è esteriore, ma interiore: è tra i suoi labirinti – così diversi, eppure così simili al labirinto della corsa spaziale di 2001 – che si cela l’elemento perturbante.
E se in 2001 l’unico modo per sfuggire al debordare della mente, alla follia derivante dall’aver “visto troppo”, era la riproduzione di un ambiente familiare e perturbante al tempo stesso, in Shining questa possibilità è assente perché ci si trova trasportati sin dall’inizio in un ambiente perturbante: familiare, cioè, ma con un qualcosa che stona. A stonare in 2001 era la compresenza di arredo settecentesco e di elementi ultramoderni, come il pod spaziale, oppure elementi tipicamente perturbanti, rimandi linguistici e visivi, come il monolito stesso. Jack, come Bowman, entra in contatto con un ambiente fantasmagorico e spettrale, ma insoddisfacente. Ed è così che trova una sorta di riparo nell’immaginazione, come nell’apparentemente sovrannaturale apparizione del barista da lui tanto agognata.
Ma ciò che fa impressione è che il perturbante in 2001 sortisce sui personaggi un effetto straniante almeno quanto lo è per gli spettatori stessi, fintantoché non si abituano. Ma c’è sempre qualcosa che, frantumandosi, come il bicchiere nella stanza, riporta il personaggio allo stesso livello dello spettatore, rigettandolo negli abissi dell’incomprensione.
Il protagonista/antagonista di Shining, al contrario, entra a far parte di questo modo in maniera totale, dunque l’effetto perturbante sullo spettatore raggiunge l’apice, fino a sfociare nell’horror, perché lo spettatore si trova completamente straniato, in un mondo a lui così familiare e che al contempo gli è tanto estraneo: laddove Jack non percepisce la magnitudine di tali avvenimenti, delle comparse di elementi “estranei”, noi al contrario comprendiamo immediatamente la non-sensatezza di tali apparizioni.
Entra dunque il paranormale nel nostro campo interpretativo. Vale a dire che dinanzi a figure di un altro mondo, chiaramente irrazionali, eppure così umane – niente mostri o creature di per sé orride, almeno non inizialmente – entra in gioco l’elemento paranormale.
Ci sono solo tre esseri viventi nell’hotel: gli elementi estranei non trovano giustificazione che rimandandoli ad un livello non-umano, sia esso appartenente al regno della fantasia o del paranormale, poco importa.
Jack, al contrario dello spettatore, è perfettamente integrato in queste sue visioni, come se ne facesse parte da sempre. Quivi il senso di perturbante che colpisce lo spettatore: come in Rosemary’s Baby è nell’ambiguità del male che si nasconde l’orrore, nelle macchie sul tessuto del quotidiano… è lì che nasce l’orrore. L’ambiente è fin troppo vuoto e la repentina comparsa di figure umane non può che risultare strana, almeno, soprattutto nel constatare che Jack non ne è minimamente scioccato ed anzi sembra riconoscere tali figure con vivida lucidità. Come il bambino che riconosce la sua “identità moderata”, la sua doppia identità, la dote che ha imparato ad estraniare da se stesso. Il film costituisce tutta una serie di rimandi, anche a livello di identità. Il bambino rifiuta i suoi poteri, e li proietta in una figura a lui parzialmente estranea.
L’elemento perturbante è suggerito anche dall’ambientazione, tutto sommato fin troppo tranquilla e soprattutto illuminata. Da Nosferatu di Murnau (1922) in poi il male venne separato dal bene in maniera manichea dalla presenza di ombre. Al contrario, il male si nasconde in ciò che è visibile, non in ciò che è visibile in Shining.
Come a dire che l’orrore è nel quotidiano, è nella normalità che si insediano le sue radici, per attaccare indisturbato. Da ciò deriva il senso di smarrimento dello spettatore.
Perché Jack non ne è minimante turbato? Perché il contatto prolungato con se stesso lo ha portato ha riconoscere i propri spettri, che altro non sono che delle sue proiezioni, dei rimandi d’identità personificati e rappresentati da modelli che egli avrebbe anzitempo rifiutato.
Per esempio, egli proietta nella figura del custode la sua mania omicida, derivante forse da un complesso d’Edipo al contrario – forse dovuto ad un’infanzia tormentata –, la esterna in una figura dominante, ineluttabile. Egli preferisce credersi controllato, sotto un’influenza irresistibile, quasi per incolpare il “senso del dovere” degli atti che egli intende portare a termine: “è il senso del dovere che ci uccide”, si trova a dire al barista, figura ideale, desiderio irrealizzato.
Dal romanzo – che non ho letto – sembrerebbe evincere l’alcolismo latente del protagonista, ma ad ogni modo questa è solo una delle tante possibili spiegazioni.
Il custode che egli riconosce, molto probabilmente non ha mai fatto parte di quell’albergo… almeno nella foto finale, quella datata 1921, egli non compare. Lo riconosce perché proiezione del suo desiderio di bere ed al contempo di sentirsi servito, trattato bene, come un uomo rilevante.
Egli è invece uno scrittore in preda ad una crisi d’ispirazione e molto probabilmente è di indole violenta, oltre ad essere dedito all’alcolismo. L’episodio di Grady, raccontatogli dai suoi datori di lavoro, più che fungere da monito, funge invece da movente.
Jack non teme i suoi fantasmi, ne è anzi demiurgo e se ne serve per soddisfare le proprie pulsioni e per sentirsi realizzato. Il barista è dunque una figura ideale, come dicevo. Il custode è invece una figura che egli prima rigetta, poi accoglie con ammirazione, quasi si auto-convince soggiogato, si autoimpone il dovere di portare a termine una missione affidatagli.
Jack è folle perché incapace di giungere ad una mediazione tra quella che è la realtà e quella che è la propria impulsività, trasferita in figure più o meno luciferine.
La chiacchierata nel bagno con il custode serve a stabilire le gerarchie, a marcare i limiti della propria missione omicida.
La metafora del labirinto appare dunque abbastanza chiara: egli scruta dall’alto un modellino del claustrofobico labirinto situato all’esterno dell’hotel; nel contempo sua moglie ed il figlio si trovano proprio lì, e quasi rischiano di perdersi.
Il labirinto rappresenta la mente. E in ciò è racchiuso anche il senso del film: il figlio e la moglie si salveranno dai propri fantasmi e faranno ritorno nella società, che seppur con le sue ipocrisie e le sue convenzioni, riesce a garantire all’individuo l’illusione di una salvezza da se stessi, prima che dagli altri.
Jack muore lì, in quel labirinto, è incapace di venirne fuori. Alcuni potrebbero leggere questo preludio al vero e proprio finale come una sorta di accenno all’impossibilità di venirne fuori dall’alcolismo, anche se per me è una inutile contestualizzazione, anche se il film propone anche questa possibilità interpretativa, ovviamente.
Ciò che è certo è che è stata la sua ossessione ad ucciderlo. Ma il film non finisce lì.
Come in 2001 la conclusione non avviene con la morte di Bowman, del resto. Ai guerrieri è riservato un dono, la promessa di una rinascita.
Se in 2001 tale rinascita era resa possibile solo da un omicidio(quello della sua stessa creatura HAL, più viva dell’uomo perché in grado di mentire, di avere paura e di uccidere), cioè dal recupero delle proprie abilità vitalistiche, quelle che avevano consentito all’uomo di sopravvivere in passato, prima del trip finale(incontro dell’uomo con i propri limiti, con conseguente superamento degli stessi), in Shining la rinascita avviene in maniera analoga. Ma l’omicidio necessita solo di premeditazione, non del compimento stesso, in questo caso.
La differenza è che il finale di 2001 è positivo, quello di Shining non lo è, al contrario di quanto sembrerebbe suggerire il sorriso di Jack, finalmente rinato.
Il fatto che fosse sempre stato lì, oltre ad imporre una circolarità del tempo, giustifica anche la morte di Jack, come evento necessario: è morto in seguito alla sua ossessione. E’ sempre stato lì, legato a quell’Hotel, perché impossibilitato a venirne fuori, “a guardare fuori” da esso, dalla sua ossessione.
Doveva morire proprio lì perché non è riuscito a venire fuori dal labirinto ed è rimasto per sempre ancorato alla sua ossessione, ossessione senza tempo, esistente al di fuori dei limiti temporali, come testimonierebbe la paradossale data impressa sulla fotografia. E’ sempre stato lì, a livello forse non sovrannaturale, ma spirituale, impossibilitato a venirne fuori, a risolvere la sua condizione di follia, al contrario della figlia e della moglie che, pur venendo a contatto con i propri fantasmi, riescono a scappare, a trovare una via di fuga, come la sopraccitata sequenza del labirinto già lucidamente anticipava. Del resto il film è tutto giocato sulla possibilità del bimbo di prevedere in parte gli avvenimenti futuri.
Come del resto il padre, che prima di entrare in quell’hotel aveva già forse le sue idee chiare, pur necessitando ugualmente della mediazione di figure spiritiche, di forze oscure che lo costringessero a commettere il delitto mai consumato.
I segni dell’ossessione di Jack sono molteplici ed allarmanti, come il suo scrivere ripetutamente la stessa frase e fare strani sogni, che al contempo sono espressione dei suoi più intimi desideri, nonostante la sua iniziale repulsione dinanzi ad essi.
La frase ripetuta nella versione inglese(Kubrick ha curato le frasi di tutte le versioni doppiate)ben esemplifica quanto detto in precedenza circa il senso di dovere: “All work and no play makes Jack a dull boy”.
2) I riferimenti alla mitologia e alle fiabe. Non è difficile vedere in un lavoro completo come quello di Kubrick tutta una serie di situazioni "eterne", leggibili dunque in base a richiami, espliciti o meno che siano, alla mitologia.
Jack Torrence sarebbe allora un esplicito riferimento a Saturno/Crono che divorava i propri figli per il timore di essere spodestato da uno di loro. Danny rappresenterebbe il "figlio che si ribella", Giove/Zeus che sfugge all'ira del padre e lo "intrappola" insieme agli altri titani. E questo mi sembrerebbe un esplicito riferimento al finale di Shining, in cui Jack/Crono rimane "intrappolato" nel labirinto o, più direttamente, resta insieme agli altri "titanti"(i potenti dell'Hotel?)incastrato in quella fotografia, non ancora vista nel corso del film.
Vi sono riferimenti alla fiaba di Cappuccetto Rosso fin troppo evidenti(perfino Jack ripeterà alla moglie, eterna bambina, incapace di crescere: "Cappuccetto rosso? Sono il lupo cattivo!"), con la quale condividerebbe anche la tematica del cannibalismo, fortemente celata sia nel film di Kubrick che nella fiaba popolare.
I riferimenti ad un'altra fiaba molto nota, Pollicino, anche si sprecano. La fiaba è stata infatti interpretata come il passaggio dei bambini dalla fase orale a quella successiva, suggerita dal fatto che i bambini, mandati via da casa perché non potevano essere sfamati, riusciranno a farvi ritorno dopo essere scappati dall’Orco(Jack), grazie al senso dell’orientamento di Pollicino, esattamente come la scena del labirito.
Vi sono riferimenti alla stanza proibita di Barbablù, come è stato notato da G. Cremonini(ottimo saggio)ed alle implicazioni sessuali della stessa(la donna che cerca di strangolare Danny, segnandogli anche tracce sul collo assimilabili al vampirismo, è forse la stessa che sedurrà Jack?), nonché gli ovvi riferimenti al mito di Edipo, su cui credo non sia necessario soffermarsi, nonostante la centralità di questo mito.
I riferimenti al mito di Teseo(Danny)e del Minotauro(Jack)sono allora anch'essi possibili, considerando il labirinto dell'hotel come ambientazione ideale per questo conflitto.
3) Vi è una chiave di lettura che definirei "felliniana", presentando dunque una sorta di "blocco artistico ed emotivo" dello scrittore, rovesciando però le conclusioni e le azioni cui Guido Anselmi giungeva nel film di Fellini.
4) I continui riferimenti a temi quale il doppio, l’inversione(basti pensare alla scritta MURDER scritta con il rossetto al contrario)e moltissime ripetizioni, a partire dalla più ovvia, quella della scritta ripetuta sequenzialmente.
5) I riferimenti al cannibalismo e alla massoneria.
Su questi due punti, connessi l’un l’altro, è stato detto fin troppo da altri, cercherò dunque di essere sintetico. I riferimenti alla fase orale, come già sottolineato, abbondano nel film, a partire dai continui riferimenti all’atto del mangiare, al cibo, alle enormi dispense di cibo cui l’albergo dispone(non è forse anche un riferimento all’abbondanza ed alla fertilità dell’America?), l’ossessione di Wendy per il cibo(sottolineante anche il mutamento caratteriale di Jack, quando gli viene portata la colazione al mattino la prima volta e quando Wendy gli porta dei panini mentre lui è intento a scrivere, presumibilmente, in maniera continua ed ossessiva), al bambino che parla “per bocca” di Danny, richiami più o meno espliciti al cannibalismo(soprattutto da parte di Jack che parlerà di una sventurata spedizione terminata con il ricorso al cannibalismo dei superstiti; poi vi è la metafora del lupo cattivo), Jack che vorrebbe “bere” qualcosa e vede comparire i propri(?) fantasmi, vi sono i segni di “vampirismo” sul collo di Danny, culminando poi con la breve sequenza della fellatio dell’orso(?) cui Wendy assiste. E’ importante notare come Wendy, persona immatura sessualmente, sia proprio lei a vedere materializzato questo suo tabù in chiave surreale.
Insomma, di richiami del genere ce ne sono moltissimi.
Ad ogni modo, alcuni li hanno letti sulla base di un’interpretazione in chiave “massonica”, che vedrebbe in Jack(e nel precedente custode, ormai annichilito anche nella memoria?)un semplice ed inetto “servitore” dei potenti dell’Hotel, la cui identità, come in EWS, resta celata: così la richiesta di Jack  - un tipo come me vuole sapere chi glieli offre questi drink – resta inesaudita, destinata a non essere risposta.
Come appunto i potenti di Eyes Wide Shut, mascherati e sconosciuti, che riconosceranno l’intruso Bill a partire dal suo essere giunto lì in taxi.
Dunque sua moglie e suo figlio sarebbero non solo pericolosi per l’hotel come gli farebbero credere, ma innanzitutto “vittime necessarie”. E così quella colata di sangue che esce dagli ascensori, motivo di notti insonni per molti che hanno visto il film, altro non sarebbe che il sangue degli innocenti, anch’essi condannati a restare come presenze all’interno dell’hotel, come le due gemelline, rimaste in attesa di un compagno di giochi. Poco importa quanto corrisponda alla fantasia del bambino e quanto alla “realtà”(intendendo sempre un’altra realtà, beninteso).
E non sarebbe dunque un caso il fatto che l’albergo sia stato costruito su un cimitero indiano. Più che avere implicazioni di natura mistica, giustificando come in “Poltergeist” tali apparizioni, questo fatto implicherebbe dunque che la costruzione dell’hotel sarebbe avvenuta anch’essa grazie al sangue versato da innocenti.
Se è vero che in molti nell’Overlook Hotel hanno visto una metafora degli Stati Uniti, allora sarebbe molto più semplice possibile comprendere questo concetto. Dunque l’America, paese della Ragione e del Progresso(come spiegherò alla fine, i colori, anzi la luce, ha un significato predominante)sorge sui sacrifici delle proprie vittime, sacrifici che continuano a perpetuarsi ancora oggi(“voglio restare qui con te sempre, sempre”; “è sempre stato lei il custode qui”)e che richiedono proprio ad uno dei suoi servitori il sacrificio della propria famiglia, quasi come se si trattasse di una rivisitazione del racconto biblico di Isacco cui era stato chiesto da Dio di provare la propria fedeltà uccidendo il suo unico figlio.
Questa mia citazione non è affatto casuale e l’analogia è a mio avviso forte. Per provare la fedeltà del suo servitore, Dio gli chiederà di sacrificare il figlio poi, constatane la lealtà, gli chiederà di risparmiare il figlio.
In Shining le voci che Jack ascolta(probabilmente anch’essi umili servitori come Grady)lo esortano a sacrificare la propria famiglia(anche se Grady parla più di punizione e di estirpazione del rischio, forse soltanto per istigare l’istinto di conservazione di Jack, quello che è un Edipo al contrario, sapendo che Jack si sente minacciato dal figlio), senza mai ritirare l’ordine.
Eppure Jack fallisce nel suo intento, ma la “premiazione” arriverà, come si vede in quella foto datata 1921. Jack ha conquistato l’indipendenza, o meglio ha avuto il contentino per la sua dedizione… ma non è forse simile a quanto è avvenuto nel caso di Isacco, dopotutto?
I continui riferimenti ai colori della bandiera americana(per un elenco completo basta navigare il web)e la presenza di bandiere americane in ogni dove(o il nome del direttore dell’albero che alluderebbe a United States)potrebbero rafforzare questa tesi, anche se a mio avviso si tratta di sovra-interpretazione(per non parlare delle interpretazioni numeriche, come sul significato del numero “237”).
I cori che sentiamo verso la fine del film sembrano canti “indiani” e ancora una volta non si tratta di un’allusione casuale, forse.
6) Anche il fattore temporale di cui ho parlato sopra, fè gestito con grande maestria da Kubrick, come avveniva in “2001”, che è in un certo senso il contraltare in chiave evolutiva ed ottimista di Shining(in Shining non c’è evoluzione, semmai c’è regressione ad uno stato animalesco. Dunque la rinascita di Jack né è abbrutimento, più che rinascita ad Oltreuomo nietzscheano). In quel film vi erano salti temporali rimarcanti affinità evolutive tra passato remoto e futuro prossimo(mi riferisco ovviamente alla vitatissima scena dell’osso), dilatazioni temporali nelle sequenze spaziali che rallentavano il film(per rimarcare la difficoltà dell’Uomo di adattarsi ad uno spazio a lui estraneo, nonostante i milioni di anni di evoluzione lo abbiano reso padrone del suo habitat naturale, la Terra… mentre nello spazio diviene piccolo ed insignificante)ed improvvise accelerazioni(la sequenza del trip)che condurranno l’ultimo astronauta in una dimensione non-atemporale(infatti invecchia), ma dove il tempo continua a scorrere in modo differente. Il film termina con la rinascita in senso evolutivo di David, così come in Shining è una rinascita quasi mistica, più che evolutiva(ma in Kubrick spesso le due cose coincidono, trattandosi di tematiche meta-fisiche, oltre la fisica tradizionale).
La rinascita di Jack è quasi uno sberleffo di quella di David, in realtà.
Il tempo in Shining, è importante sottolinearlo, si assottiglia in modo sempre più evidente ed ossessivo, come indicato dai cartelli esplicativi.
7) Il film può molto meno fantasiosamente avere spiegazioni più plausibili, come quella della follia acuita dall’alcol(la prima che ho già riportato), l’alcolismo vero e proprio o, ancora più semplicemente, si tratterebbe di una semplice storia di fantasmi.
Comunque lo si voglia interpretare questo film resta uno dei più grandi horror della storia del cinema, destinato ad avere la stessa influenza di altri classici del passato, come Nosferatu di Murnau di cui ho già parlato nel recente commento, di cui ribalta i canoni estetici e dunque anche concettuali, se è vero che le immagini, soprattutto parlando di Kubrick, veicolano concetti. Ho già parlato sopra di come questo ribaltamento avvenga a livello visivo, con il contrasto tra luce ed ombra.
Tra l’altro, gli ambienti perennemente illuminati di Shining, dove maggiormente la follia di Jack ingigantisce e prende forme, che alle fine diverranno visibili anche ai suoi famigliari, potrebbero anche essere un ironico riferimento alla stanza finale di 2001, che sembra giunta direttamente dal ‘700 e arredata con un gusto quasi illuministico, rappresentazione dunque della “folle” mania di controllo dell’Uomo, mania di cui soffre lo stesso Kubrick e da cui cerca si svincolarsi decretandone il perenne fallimento, come appunto avviene nella stanza settecentesca, dove il bicchiere cadendo si frantuma e l’uomo continua ad invecchiare e alla fine si trova a dover affrontare la propria morte, prima di rendersi conto, stavolta consapevolmente, del monolito, della cui importanza si era dimenticato. E allora il nero del monolito “resetta”, fa tabula rasa dell’evoluzione umana(tutto il lento procedere di Bowman nella stanza può essere considerato estensione del processo di nullificazione della tecnologia già effettuato in precedenza con l’uccisione di HAL9000), per riscriverla.
In “Shining” non vi è questo ottimismo, anche se le vittime riescono a scappare e Jack Torrence trova la sua “pace”, venendo letteralmente immortalato in quella fotografia, segno della sua indipendenza, o dell’indipendenza del paese di cui è parte(e servitore?).
Dunque, come dicevo, la follia nasce dalla mania ossessiva di controllo(come delle sue idee, così della sua famiglia, come quando Jack la scruta dall’alto nella riproduzione del labirinto), da quell’illuministica “fede” di controllo razionale della Natura, prodotto di un processo di demistificazione dai miti medioevali soltanto scalfito, mai prevedente la totale estirpazione di quelle idee, bensì prevedendone la sostituzione.
Ed è così che nel buio del labirinto il bambino riesce ad orientarsi e a fuggire, mentre Jack è condannato a morirci, per poi tornare nelle illuminate stanze dell’Overlook Hotel(sul significato del nome dell’hotel sono possibili INNUMEREVOLI spiegazioni, tutte altamente suggestive, a dire il vero).
Quel che conta è amare questo film, lasciarsi catturare(e, perché no? , terrorizzare)e farsi una propria idea sui suoi contenuti.
Perdonatemi se mi sono ripetuto in più punti, ma non avendo riletto l’analisi(soprattutto il primo punto, già scritto a suo tempo), posso aver commesso diversi errori.
Spero di aver esposto, seppur in maniera molto confusionaria, le principali tematiche del film e di averne fornito le varie chiavi interpretative, tenendo comunque presente che l’interpretazione può essere molto più varia e soggettiva e che in realtà il film può anche non essere letto affatto perché piaccia.

Sulla trama

E' fin troppo nota perché servano ulteriori spiegazioni.

Sulla colonna sonora

La colonna sonora è davvero eccellente, tra le migliori dei film di Kubrick. I brandi di Penderecki e di Ligeti, che verranno ripresi da David Lynch per INLAND EMPIRE, sono davvero inquietanti e "piacevoli" da ascoltare, al tempo stesso.
Il film non sarebbe stato quello che è senza questa colonna sonora.

Cosa cambierei

Nulla!

Su Stanley Kubrick

Vabbè... è Kubrick.

Su Jack Nicholson

Una delle sue migliori interpretazioni, non c'è molto da aggiungere. "WEEENDDYYYYYYY!!!!"
Avrei forse leggermente preferito un cambiamento più progessivo, però così si sarebbe persa la resa del mutamento radicale.

Su Shelley Duvall

Molto brava nella parte. Ninfetta di Altman, in questo film a mio avviso Duvall fa un figurone, impersonando una casalinga un po' stupidina, immatura(soprattutto sessualmente)e anche insulsa ed intente nelle sue banali faccende domestiche.
Le sue espressioni di paura resteranno negli annali del film.

Su Danny Lloyd

Anche lui è eccezionalmente bravo nella sua parte e riesce ad essere a tratti inquietante. I suoi dialoghi con il suo "alter-ego" e le esplorazioni in triciclo resteranno negli annali della storia del cinema horror(e non solo).

Su Scatman Crothers

Molto sinceramente è lui il personaggio che mi ha impaurito di più, insieme alla donna che invecchia ed imputridisce e alle due gemelline(tra l'altro prese da una famoso foto d'epoca).
Anche se la scena della sua uccisione mi sembra anche abbastanza ridicola più che drammatica!

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