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Sette giorni a maggio

Regia di John Frankenheimer vedi scheda film

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La recensione su Sette giorni a maggio

di maurizio73
6 stelle

Opponendosi ad un trattato bilaterale USA-URSS su di un concordato e definitivo disarmo nucleare firmato dal presidente Jordan Lyman, l'autoritario e bellicoso generale Scott ordisce un complotto che, coalizzando l'intero stato maggiore del Pentagono, vorrebbe delegittimare la Casa Bianca e prendere il potere. Grazie alla fedeltà democratica del colonnello Casey e dei più stretti collaboratori del Presidente la congiura viene scoperta ed il generale finalmente destituito.
Secondo in ordine di tempo della cosidetta trilogia della paranoia (dopo 'The Manchurian candidate' del 1962 e prima di 'Seconds' del 1966) e tratto dall'omonimo romanzo di Fletcher Knebel e Charles W. Bailey, è un verboso ma efficace dramma fantapolitico da camera che aggiorna il tema della guerra fredda ad una futuribile strategia del disarmo nucleare ed agli scenari di una conseguente ricaduta reazionaria in suolo americano. Costruito sul countdown di una settimana di strisciante crisi politica,laddove sin dai titoli di testa per ciascun giorno si associa idealmente un articolo della carta costituzionale americana, e riproponendo il canovaccio (già collaudato col precedente 'Va e uccidi') di una contrapposizione di forze intestine in lotta tra di loro, il film di Frankenheimer è un inesorabile e compassato meccanismo ad orologeria che si gioca sul disinnesco verbale più che sul piano dell'azione drammatica, alternando sulla scena i prototipi di un ideologismo nazionalista in cui la razionalità delle virtù democratiche (rappresentate dalla specchiata moralità del personaggio di Douglas) prevale fatalmente sull'impulso autodistruttivo di una reazionaria bellicosità (incarnate dall'ambiguità del generale di Lancaster). Benchè il campo dell'azione si restringa ad una rappresentazione spartana dei centri del potere (dalla sala ovale ai maxischermi di un Pentagono già futuribile tra sala dei bottoni e 'conference-call') e prevalga inesorabile il piano americano sulle rare scene in esterno, si apprezza una sceneggiatura che tenta la carta dell'ironia e di una appassionata dialettica che raggiunge il giusto climax nella scena madre di un serrato confronto tra gli antagonisti di una plausibile contrapposizione politica, laddove Fredric March giganteggia sulla prestanza sorniona del sempre carismatico ex cascatore del cinema a stelle strisce. Personaggi e caratteristi di primordine (da Edmond O'Brien a Martin Balsam fino all'avvenenza tarchiata di una quarantenne Ava Gardner) sembrano tuttavia non salvare un film che pare avvitarsi su se stesso nel tentativo di promuovere una tesi (il pacifismo democratico ed i valori costituzionali) piuttosto che instillare il terrore escatologico di un'azione golpista come denonatore di un imminente conflitto termonucleare. Finale fiacco con la classica standing ovation per il lungimirante discorso di un Presidente saggio e tollerante e con Lancaster,umiliato e sconfitto, che si congeda mestamente facendo ritorno a casa.

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