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Wild

Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film

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La recensione su Wild

di giancarlo visitilli
8 stelle

Se il tuo coraggio ti tradisce imponiti sul coraggio”, scriveva Emily Dickinson. Monito che ha fatto suo, il bravissimo regista Jean-Marc Vallée, attraverso l’ennesima prova del suo cinema, Wild, un film universale, perché si tratta di una storia sul cammino, sull’esistenza, sul senso di un’esistenza in cammino.   

Il pretesto è quello della vita sregolata di Cheryl Strayed, fra dipendenza dall’eroina e il crollo del proprio matrimonio, il tormento dei ricordi di sua madre Bobbi e un padre alcolizzato. La fuga. La decisione di lanciarsi in un viaggio a piedi, di più di mille miglia (1600 chilometri), in perfetta solitudine, lungo il Pacific Crest Trail (PCT, il Sentiero delle Creste del Pacifico). Fra paure, prove e spericolate avventure, l’incredibile viaggio di Cheryl racconta l’esistenza di ognuno.

La perdita, se non è indirizzata in altro, rischia di portarsi con sé anche l’esistenza di chi rimane, perché bisognerà ammettere che la morte è peggiore per chi rimane. Sarà necessario armarsi di coraggio e voglia di ricominciare, per protrarsi in avanti, su percorsi per i quali mettere in conto, comunque, salite, ripide, abissi, col rischio che i segni si impongano nella carne. Al modo di come il regista canadese ci mostra nella prima sequenza del film. Si tratta di un viaggio che può procurare dolore che s’insinua nella carne viva e sanguinante.

Wild è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo da parte del regista candidato all’Oscar nel 2013 per Dallas Buyers Club; lo scrive insieme a Hornby, di cui è evidente il tratto inconfondibile di una penna che approfondisce i caratteri tormentati dei personaggi, compresi quelli semplicemente da contorno.

L’enormità della pesantezza di uno zaino, che diventa giogo di tanta sofferenza accumulatasi per mezzo di storie, non vite, tragedie che hanno appesantito l’esistenza di Cheryl, la caricano, soprattutto emotivamente, rendendole insopportabile la vita, specie dopo la dolorosa morte, a causa di una malattia devastante, di sua madre, il suo punto di riferimento, l’ago della sua bussola. A tale morte Cheryl reagisce autodistruggendosi, includendo nel percorso anche il matrimonio con un uomo che, nonostante tutto, si prende cura di lei, attraverso le lettere e gli oggetti che l’uomo le spedisce.

Quello che Vallée propone è un viaggio interiore, che si rafforza mentre si fa esperienza dei propri limiti, acuendo l’imprescindibile determinazione, indispensabile per chi si assume la responsabilità di andare. Perché di questo si tratta: del coraggio di andare, senza contemplare alcun ritorno, se non il reale cambiamento interiore.  

Bravissima e credibile la protagonista, Reese Witherspoon, personaggio niente affatto semplice, piuttosto capace di tanta profondità, rende visibile i segni della debolezza e della forza, in un corpo che, man mano accresce il suo impeto di vita. Coadiuvata dalla immensa Laura Dern, sempre brava.

Wild se non lo si vede, per pregiudizio, perché la storia potrebbe avere a che fare con un gran che di prodotto hollywoodiano, ci si sbaglia. Perché ha anche il pregio di raccontare l’esistenza a contatto con il mondo e la natura, non tralasciando l’universo più naturale e più intimo, quello esistente fra una madre e sua figlia, che è il vero motore della narrazione.  

Più che a Into the Wild al femminile, questo film di Vallée fa pensare a 127 ore di Danny Boyle, anche se la profondità del racconto di Vallée supera la semplice spettacolarità delle immagini di Boyle. Quest’Eneide del regista canadese è essenzialmente un viaggio di accompagnamento di una  morte (la madre) da cui è probabile che scaturisca la possibilità che qualcosa ricominci. Niente di più scontato, perché classico. Ma il ricordo di come si può essere attaccati alla vita, guardando in faccia la morte, non è mai un viaggio scontato e senza ritorno a se stessi.

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