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Unbroken

Regia di Angelina Jolie vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Unbroken

di ethan
7 stelle

 

'Unbroken' è uno dei tanti biopic usciti in questa stagione che, se restringiamo il campo alle sole produzioni in lingua inglese, spazia dagli scienziati - 'The Imitation Game' su Alan Turing e 'La teoria del tutto' su Stephen Hawking - al (come è stato enfaticamente detto) più grande cecchino della storia dell'esercito americano, Chris Kyle, nel discusso 'American Sniper' di Eastwood, (sorprendentemente) premiato da un grande successo al box-office sia negli USA sia qui da noi, per passare poi al controverso plurimilionario John DuPont, tratteggiato in 'Foxcatcher' (non propriamente un film biografico in senso stretto) di Bennett Miller, alla improvvisata camminatrice di lunghe distanze Cheryl Strayed, protagonista di 'Wild', per arrivare al profilo d'autore di Mike Leigh sul pittore William Turner.

Il secondo film di Angelina Jolie invece racconta, con stile classico, la (straordinaria) esperienza di vita di Louis Zamperini (Jack O'Connell, attore inglese dalla faccia qualunque che ben si presta all'operazione), il cui destino è stato segnato da qualità o elementi, citando la locandina originale, una delle quali tradotta in maniera errata in italiano, come la sopravvivenza, la resilienza (capacità di resistere a eventi negativi) e il riscatto, grazie ai quali è riuscito ad uscire indenne dal secondo conflitto mondiale, in cui si è salvato da uno scontro nei cieli del Pacifico e dal successivo naufragio in mare, per la durata di 47 giorni ed infine a una dura prigionia in Giappone fino alla liberazione per la sopraggiunta fine della Guerra.

Sono arrivato un po' prevenuto a questa opera seconda della signora Pitt, sia perchè il film sinora non ha riscosso né il plauso della critica né tantomeno - pur avendo un buon successo ai botteghini - il consenso di gran parte del pubblico che l'ha visto, con giudizi a dir poco tiepidi, sia perché la Jolie come donna di cinema non rientra tra quelle di cui mi interessa vedere ogni cosa che fanno.

Comunque, 'pregiudizi' (filmici s'intende) a parte, 'Unbroken', scritto a otto mani dai fratelli Coen, Richard LaGravenese e William Nicholson sulla base del libro di Laura Hillenbrand, è diretto senza particolari vezzi autoriali (e questo è un pregio) ma con uno stile classicheggiante e un buon respiro epico - forse un po' retrò - specie nella prima parte, che ricorda certi film di guerra degli anni '40, con delle cadute di ritmo nella (troppo lunga) parentesi in cui Zamperini e due suoi commilitoni sono alla mercé delle intemperie e del nemico nello sconfinato oceano Pacifico, per risollevarsi e 'approdare' infine ad un prison movie dove - come ne 'Il ponte sul fiume Kwai' di David Lean - si 'consuma' il duello tra l'indistruttibile e resiliente prigioniero e l'aguzzino giapponese Watanabe (Takamasa Ishihara, strepitoso), che sottopone il primo alle più innumerevoli umiliazioni e punizioni, fino alla fine delle ostilità.

Grazie all'uso del flashback - strumento che la regista maneggia con un po' di impaccio - Zamperini viene anche ritratto nei momenti salienti della sua gioventù, quando veniamo a conoscenza delle sue umili origini, dell'emarginazione dovuta al fatto della discendenza italiana, fino al riscatto grazie alla corsa e la partecipazione ai Giochi Olimpici del 1936 a Berlino, con il buon risultato, per un diciannovenne, dell'ottavo posto nei 5000 metri, ma con un ultimo giro in 56'' che sarebbe un gran tempo anche nell'atletica odierna e poi la speranza (svanita) di poter far meglio all'Olimpiade successiva, cancellata dallo scoppio del conflitto mondiale.

La retorica patriottarda-guerresca, che da tale storia poteva essere profusa a tonnellate, viene per fortuna quasi del tutto evitata, con lo script che punta più sul lato umanista della storia, concentrandosi sulla personalità e sulle qualità del personaggio che, nonostante tutto ciò che ha subito, è disposto a perdonare il nemico (ma il vero Watanabe non vorrà mai incontrare il reduce anni dopo al suo ritorno in Giappone) e quindi a lanciare un messaggio pacifista.

Un valore aggiunto poi è certamente la fantastica fotografia (9) di Roger Deakins, abituale collaboratore dei fratelli Coen e qui alla dodicesima candidatura agli Oscar (sempre sconfitto nelle precedenti), che ricorre a una vasta gamma di colori - dai toni chiari della prima parte a una prevalenza delle diverse tonalità azzurre nella parte ambientata in mare per arrivare a quelli scuri e cupi dei luoghi di prigionia e di lavoro dei soldati americani, con l'uso prevalente dei verdi delle uniformi e del marrone-bluastro delle miniere - per sottolineare così il precipitare degli eventi.

Voto: 7.

 

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