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Sentieri selvaggi

Regia di John Ford vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sentieri selvaggi

di Spielbergman
10 stelle

C’è Ethan Edwards, là, sulla porta di casa, nel Texas del 1866, che è diviso: entrare o no? Scelta difficile, dopo aver passato anni da solo, lontano da tutto ciò che è tuo e che ti appartiene per diritto. Gli ultimi cinque anni della sua vita sono stati i più duri, i più crudeli, quelli in cui è stato lì-lì per lasciare andare tutto e impazzire completamente. Alla fine, però, ha trovato sé stesso. Ma a che prezzo, in fatiche e tragedie… è capitato tutto all’improvviso, nel ’61, alla fine della Guerra di Secessione, quando tornò a casa di suo fratello, giusto in tempo per vedere i Comanche sterminare la felice famigliola e rapire le sue nipotine. Giusto in tempo per mettersi a cavallo, con la pistola carica e il sombrero in testa, e partire, alla testa dei “ricercatori”… John Ford racconta la storia di Ethan, la storia di un uomo diviso fra l’amore e il rimpianto, fra l’eroismo e la crudeltà. John Ford firma un capolavoro assoluto, un film western “completo”: dramma struggente dai connotati politici e sociali (si parla della crisi del mito americano, dei suoi eroi, della sua “frontiera”) pieno di epos, ma anche divertente come pochi altri, con punte di melò che toccano le corde del cuore con pochissimo sforzo, senza tralasciare un misto di tenerezza, rammarico e un senso di accoramento attorno alla vicenda che più di una volta fa sobbalzare. Alla mia seconda visione, più calma e approfondita, mi è stato impossibile non affezionarmi ad ognuno dei personaggi di questo film. Non solo a Ethan, figura bellissima, leggendaria, ipnotica; in questo film, oltre a lui, palpitano troppi cuori distrutti e addolorati: Martin Pawley e la sua dolce Laurie, il capitano/reverendo Clayton (per sempre nel mio cuore!), il folle Mosé Harper, i visi distrutti dei signori Jorgensen… fanno tutti parte di uno splendido quadro, una tela animata che narra una storia western che passa dalla Storia al Mito saltando a piedi parti la leggenda. Una tragedia che parla di un gruppo di “eroi”, di coraggiosi che sfidarono il deserto e la fatica per costruire un futuro migliore, e che si ritrovarono al centro della Storia più violenta, quella per la terra (combattuta contro gli indiani). Ed è commovente che l’irlandese Ford, nel momento in cui gli Stati Uniti stanno perdendo i loro stessi ideali (guerra fredda, capitalismo distruttore, perdita di contatto con le radici…) abbia il coraggio di decantare le gesta dei pionieri, di coloro che (anche storicamente) non si piegarono e, pur commettendo massacri contro gli indiani, si costruirono una nazione su misura, fatta di ampi spazi e di regole scritte sulla base di principi antichi, ma ancora vivi. Il film, con la sua lunga epopea scandita dal passare del tempo, delle stagioni dalle più dure intemperie, è una crudele ballata su quanto è difficile sfidare i propri sentimenti, i propri affetti, per salvarli: così è per Ethan, che per salvare una ragazzina che ricorda a malapena, ma che ama come sua figlia, deve guardarsi negli occhi, esplorare i lati più bui e nascosti del proprio cuore e resistere, andare avanti senza fermarsi lungo quella famosa via (“by the way/by the waaaaay!). alla fine, avrà solamente la certezza di aver fatto la cosa più giusta, senza altri premi, senza un abbraccio, senza un addio da parte della sua famiglia, che pure lo ama. Così, si staglia davanti a noi l’epopea di una nazione afflitta ma senza dubbio volenterosa di tornare in sella e cavalcare ancora, senza mollare. Ragazzi, questo è John Ford, che innesca una narrazione assolutamente celestiale: trasmette l’ampio respiro della Monument Valley, stordisce con le sue riprese simmetriche e precise e col suo perfetto montaggio, inebria con la score di Max Steiner e Stan Jones, meraviglia con la fotografia, simile ad un dipinto. Infine, spacca l’anima e il cuore con quello che è il capolavoro assoluto della ditta Ford-Wayne, ed uno dei film americani più belli di sempre, amato da Scorsese, Millius, Hawks, Godard e Spielberg. Ragazzi, che lacrime che escono con questo film… voto: 10.

Sulla trama

Segue ancora lo schema "cowboys vs indians", ma il personaggio di John Wayne, simbolismo, genera un film più che complesso. Una grande passione per il western e l'avventura raccontata in cinque anni di caccia senza tregua.

Sulla colonna sonora

Sembrerà strano, ma penso che anche questo film sia uno di quelli che perderebbe il 60% della sua bellezza senza lo score classico ma dal grandissimo respiro firmato da Max Steiner, e soprattutto senza Stan Jones, che canta un pezzo sicuramente “commerciale”, ma che nel finale, dopo che la porta si è chiusa alle spalle di Ethan, non può che uccidere e straziare l’anima…

Cosa cambierei

Vi prego, mettete Ward Bond e Hank Worden fra i credits!

Su Dorothy Jordan

Il suo ruolo è tanto “materno” quanto dolce: si fa rimpiangere, è straziante. Bellissimo personaggio, grande interpretazione.

Su Natalie Wood

Bravissima.

Su Vera Miles

Bravissima.

Su Jeffrey Hunter

Indimenticabile.

Su John Wayne

Fuoriclasse…

Su John Ford

Classica, dal fascino straordinario, un impatto narrativo e scenico accecante, unico. Un racconto dal respiro ampio e assolutamente inimitabile. Capolavoro.

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