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Il giovane favoloso

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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Fanny Sally

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La recensione su Il giovane favoloso

di Fanny Sally
5 stelle

Imprimere su pellicola l’anima di un grande artista è di per sé sempre un’operazione temeraria e complessa, se poi nel caso specifico si tratta di un fine poeta e intellettuale, tra i più conosciuti, criticati e talvolta incompresi pensatori della sua epoca, quale fu Giacomo Leopardi, amato e odiato da generazioni di studenti e letterati, è chiaro che le aspettative personali di chi si approccia ad un film che lo riguardi, sia che lo ammiri, sia che non abbia mai avuto in simpatia il malinconico poeta marchigiano, ma pensa magari di poterlo rivalutare, siano enormi.

Purtroppo a mio giudizio, ovvero di chi sta dalla parte degli estimatori dell’autore dell’immortale Infinito, l’opera del napoletano Mario Martone, già regista del discusso e oscuro Noi credevamo (2010), è un ritratto biografico esangue, scostante, divagante, che cattura grazie alle belle e ottimamente fotografate ambientazioni e alla sentita prova del protagonista Elio Germano, ma alla fine convince a metà, dando l’impressione di trascurare un po’ troppo il cuore romantico, razionale e dissacratorio di un personaggio sicuramente complesso e sfaccettato, che qui, invece – dispiace dirlo – , esce fuori a tratti come una figura macchiettistica, un genio malato e fragile, senza una vera credibilità, autenticità e profondità che lo faccia sentire umano, moderno e vicino anche allo spettatore meno appassionato.

Se le citazioni delle sue poesie sono state comunque diluite nei momenti chiave e tutto sommato non alterano troppo una narrazione rarefatta con alcuni picchi grotteschi, delude tuttavia la scelta della sceneggiatura di relegare a pochi scambi, sbrigativi e appena accennati, il rapporto problematico ed emblematico del Leopardi con la madre e con i familiari in genere, attribuendo di contro sin troppa importanza alla sua deformità fisica – che in verità non era il motivo principale del suo pessimismo, checché ne insegnino a scuola certi ottusi insegnanti – e alle vicende dell’amico napoletano Antonio Ranieri (un aitante Michele Riondino), bello e sciupafemmine, sorta di suo vagheggiato alter ego, o addirittura compagno.

Quel che disturba di più, però, è il fatto che per tutta la pellicola lo spettatore senta esprimere continuamente da altri un asfittico giudizio ammirato nei confronti dello schivo poeta, ma c’è a stento una singola occasione in cui ci venga dato un diretto esempio della ragione per la quale attorno ai suoi scritti si siano scatenati tanti dibattiti, anche indignati.

In poche parole, la grande modernità del pensiero leopardiano non emerge mai in maniera decisa e alla fine tutto il film si limita a fornire pochi sprazzi di quotidianità, non sempre significativi o coinvolgenti, tantomeno capaci di suscitare grandi riflessioni; d’altra parte, il rifiuto di un’impostazione troppo didascalica, sembra voler evitare l’impronta di sceneggiato cronologicamente fedele, e rivolgersi a chi conosce abbastanza bene la biografia del poeta di Recanati, invitandolo quasi ad indovinare a quale momento della sua vita – e inspiegabilmente molto meno della sua poesia – ci si stia riferendo.

 

Progetto ambizioso di cui si apprezza la cura tecnica, ma che lascia troppo freddi e non emoziona.

Occasione sprecata.

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