Regia di Mario Martone vedi scheda film
Avvolto in una lenta e costante monotonia, sui vuoti e sui silenzi quest’opera nulla si dispiega.
Potrebbe sembrare un verso di Leopardi, e invece è il film riassunto in una frase.
“Il giovane favoloso” è un inno alla noia; e non mi riferisco solo a quella degli spettatori, quanto alla noia esistenziale di un personaggio alla costante ricerca di qualcosa di fastidiosamente indefinito, mai propriamente esplicato.
La pellicola assomiglia molto al diario di un pellegrinaggio, di continui spostamenti che definiscono una vita in costante bilico tra vanità e squallore, la quale prende corpo in una (non)narrazione del tutto colpevolmente refrattaria alla partecipazione emotiva di chi guarda.
Due ore e un quarto estenuanti, mero accumulo di tempi morti fatti di immagini che vorrebbero trasmettere visivamente (senza riuscirci) quello che il Nostro metteva nero su bianco.
E non basta affatto giocare sulla pur suggestiva ambientazione rievocando i luoghi della sua giovinezza, per mettere in scena un ritratto fedele dell’uomo prima che del poeta.
Non basta poi piazzare “L’infinito” a casaccio dopo circa mezz’ora dall’inizio del film, per la gioia di chi si aspettava la comparsa della suddetta poesia come tappa d’obbligo nella pellicola.
Pur restando quella di Elio Germano una performance sublime, il film di Martone non fa trasparire neanche per un solo secondo la grandezza e la lungimiranza che furono proprie di Leopardi.
Del poeta vengono solo messi in mostra il disagio e l’(auto)esclusione dal mondo, la parte introversa del suo carattere ma mai quella creativa e “trascendentale”.
Data la qualità improponibile della quasi totalità delle pellicole realizzate nel nostro Paese oggigiorno, era lecito aspettarsi che “Il giovane favoloso” potesse imporsi come segno di rinascita del cinema italiano. Invece, nel dare forma all’insignificanza, il nostro cinema dimostra ancora una volta di non avere nulla da dire e di navigare nell’ignoto, di perdersi e affondare in un mare nel quale naufragare non è dolce, bensì tedioso, soporifero e insopportabile.
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