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Il giovane favoloso

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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La recensione su Il giovane favoloso

di GIANNISV66
5 stelle

E alla fine a salvare (parzialmente) il film su Leopardi interviene..... Giacomo Leopardi. Il momento in cui un rapito Elio Germano declama gli immortali e commoventi versi de l'Infinito rappresenta il punto di massima intensità di una produzione nata forse con troppi obiettivi e troppe aspettative e risultante alla fine soffocata dalle sue stesse eccessive ambizioni.

Mario Martone torna in quel XIX secolo già solcato con l'affascinante (e comunque non esente da difetti) Noi Credevamo e ritrova terreno congegnale per narrare una storia, quella della vita di uno dei più illustri letterati della storia italiana.

Ora possiamo discutere fin che vogliamo sulle imposizioni dei programmi scolastici, sul voler distribuire a tutti i costi “perle ai porci” imponendo lo studio di produzioni letterarie altrimenti snobbate dalle giovani menti che preferiscono ascoltare il ritmo dei processori piuttosto che quello della metrica. Tutto vero, tutto fondato sui fatti.

Tuttavia ci sono cose dotate di una tale forza, di una tale potenza da essere capaci di farsi ascoltare dalle orecchie di ogni tempo. E vedere il poeta in preda ai suoi fantasmi, alla sua incapacità di essere felice declamare quelle parole con la passione di chi nella contemplazione di un orizzonte la cui vista preclusa da una siepe trova la via per arrivare a “interminati spazi (…..) e sovrumani silenzi, e profondissima quiete”, ebbene questo è qualcosa che riesce a toccare il cuore di chi abbia ancora una parvenza di quell'organo che troppo spesso ignoriamo.

 

Portare sullo schermo la vita di un personaggio famoso non è impresa facile per nessuno, le cose poi si complicano notevolmente se il personaggio in questione è Giacomo Leopardi. Appare dunque felice la scelta di Martone di utilizzare il difficile rapporto del poeta con il padre Monaldo quale filo conduttore su cui raccontare le vicende della famiglia di piccola nobiltà di provincia in una cittadina dello Stato Pontificio.

Germano riesce a dare volto a un ribelle colto eppure pieno di rispetto per un genitore combattuto fra l'amore per un figlio che appare così straordinario fin dalla più tenera età e la diffidenza per lo stesso, di cui coglie gli aneliti di ribellione.

E intorno a questo asse padre -figlio ruotano le figure degli amati fratelli (interpretati Isabella Ragonese ed Edoardo Natoli), della severa e assente madre, dei parenti bigotti e asserviti al potere pontificio e del piccolo mondo di Recanati, dove tutto scorre quieto e dove la visita di un ospite illustre come Pietro Giordani rappresenta un momento di rottura.

Entusiasmante per il figlio, lusingato dalle attenzioni e dall'affetto del celebre letterato, preoccupante per il padre, che intravede in Giordani il veicolo di trasmissione di quegli ideali liberali che tanto affascinano il suo primogenito.

Se questa prima parte funziona con puntualità riuscendo nell'intento di raccontare in modo fedele una vita lasciando però ampio spazio alla creatività del regista e alla qualità degli attori coinvolti, non altrettanto può dirsi della seconda. Leopardi fuggito dal natio borgo selvaggio cerca il suo spazio nel mondo ma il mondo, incarnato nelle leggiadre fattezze della nobildonna Fanny Targioni Tozzetti (una ammaliante Anna Mouglalis) pare interessarsi solo al Leopardi poeta a discapito dell'uomo Giacomo. Travolto dai dolori e dalle malattie, l'unica consolazione appare l'amicizia di Antonio Ranieri, forse un po' troppo affettuosa per non dare adito a qualche sospetto.

 

Se nella prima parte l'impostazione della struttura narrativa era parsa solida, in questa invece tutto pare andare avanti a sbalzi, incentrato sulla figura di un Leopardi che in taluni momenti rasenta il macchiettismo, giocando sulla allusioni omosessuali dell'amicizia un po' troppo appassionato che il poeta nutre per il giovane e prestante napoletano (Michele Riondino, il cui aspetto rimanda a certe figure di intellettuali romantici dell'ottocento, secolo a quanto pare molto apprezzato dal regista), sulle stramberie di un Leopardi travolto dalla sua stessa febbrile intelligenza e da un fisico disgraziato che non gli risparmia né sofferenze né umiliazioni.

Nel raccontare il periodo del soggiorno napoletano a Martone scappa poi decisamente la mano al punto che il quadro assume contorni confusi, le idee vengono sbozzate ma nulla sembra seguire uno schema. Si va avanti fino alla fine tra stralci della produzione leopardiana (tra le altre, “Dialogo della Natura e di un Islandese” dalle operette morali e, nel finale “La ginestra”, componimento considerato il testamento spirituale del poeta) e rappresentazioni del pessimismo cosmico, fino a quel cielo stellato che lascia allo spettatore libertà di interpretazione.

 

La sensazione finale è quella di un quadro affascinante ma un po' confuso, e soprattutto quella di una storia con qualche passaggio a vuoto di troppo (e qualche scena di cui è difficile capire l'utilità, ad esempio quella della visita al bordello nei vicoli di Napoli con tanto di sorpresa finale). Non si può bocciare del tutto questo giovane favoloso, ma la promozione è ben altra cosa.

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