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Il giovane favoloso

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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La recensione su Il giovane favoloso

di LAMPUR
6 stelle

 

Elio Germano

Il giovane favoloso (2014): Elio Germano

 

 

Ed ecco servita la vita di Leopardi come perenne conflitto di aspirazioni irrisolte.

Martone opta per una scelta forse furbetta affidandosi a versi immarcescibili, a un Germano loffio, a tre capitoli di esistenza che calcano la mano sul padre autoritario, sull'ambigua amicizia con Ranieri, sul carattere utopista ma costretto a penare infelicità terrene.

 

 

Elio Germano

Il giovane favoloso (2014): Elio Germano

 

 

Una fotografia eccezionale coadiuvata da indovinate scelte musicali che spaziano dal classico più convenzionale fino all'elettronica di Sascha Ring, rendono tempi, patimenti e scenografa arditamente lirici, pur sottraendo spazio al Leopardi che amo di più, quello ironico e tagliente delle Operette Morali (che pure sono state rese a teatro dalla sceneggiatrice del film, Ippolita di Majo); quel lato feroce, sarcastico, visionario - tarpato dalla pretaglia fiorentina - che a mio avviso stride con la facile ambiguità del rapporto con l'amico Ranieri, con l'invidia di un corpo sano e bello (“non attribuite alle mie pene fisiche ciò che è solo frutto del mio intelletto”), col semplice desiderio di evasione dal rapporto amore/odio con la prigione di Recanati, o il folcloristico vagare per brindisi e bordelli napoletani.

Leopardi è troppo avanti per tutti, soffre, ancor più che fisicamente, di questa lucidità pazzesca che lo sovraespone come in una macchina che viaggia oltre nel tempo e lo rende folle di fronte all'arretratezza di chi non dovrebbe giudicarlo con quel diritto alla verità che si arroga: “La nostra ragione non può trovare il vero se non dubitando. Si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza. Chi dubita sa, e sa più che si possa”.

 

 

locandina

Il giovane favoloso (2014): locandina

 

Cerchiamo di comprenderlo Giacomo, afferrando il concetto in brevi lampi, mentre prega il padre dopo il suo fallito tentativo di fuga, o scrive di fronte alle molteplici lune dalle finestre intrise di notte che gli ispirano frenetiche righe, o con la testa riversa all'indietro su prati e cigli di fiumi, alla ricerca di un infinito cosi a portata di mano, almeno per lui.

Ma troppo spesso Martone ci costringe al “quant'è bravo Germano!” (che poi c'avrei visto meglio un più espressivo Filippo Timi) o al “certo, poveretto, come deve aver sofferto”, mentre Leopardi se li godeva vorace quegli anni curiosi, i sogni assaggiati e la mente spalancata a una Visione Totale che, a noi altri, non ci sfiorerebbe neanche se campassimo cent'anni alle Maldive.

 

 

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