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Fury

Regia di David Ayer vedi scheda film

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La recensione su Fury

di Ascasubi
7 stelle

La rappresentazione di un evento altamente drammatico come partecipare ad una guerra può, nella finzione filmica, essere soggetto a diversi gradi di realismo. Il livello "basico" basato sulla verosimiglianza eroica dove tutto, specie la morte, risulta edulcorato tra schiume di pomodoro, musiche sinfoniche in crescendo, discorsi ed addii solenni suona da tempo stantio; si passa dunque a rappresentare la guerra come profondamente ingiusta presentando dei monomaniaci psicopatici tra le fila dei protagonisti, squarciando il velo di maia sulle atrocità e sul cinismo, in una parola "denunciando". Un film di guerra - genere consolidato - per odiare la guerra.

Era facile quando si parlava di Vietnam, molto meno se si tratta di riaprire il capitolo seconda guerra mondiale e l'ugenza sfrattare Hitler dal consorzio umano. In questo caso i fini sono giusti; i mezzi (l'arte della guerra e i soldati) forse, ma rimangono affogati nello squallore generale. Così riusciamo ad odiare la guerra ugualmente.

Sotto un cielo plumbeo, immersi in un freddo filtro blu (colore proverbiale e poetico per la cultura anglosassone), sopra un pavimento fangoso, che non può essere altro che sporco e fangoso, con cadaveri in divisa a fare da tappeto, con morti impiccati a puntellare il cammino, dentro un barattolo di acciaio che regala morte ma non assicura la sopravvivenza di chi sta all'interno, la vita non solo risulta squallida ma anche come limitata, stretta e soffocante anche nei principii.

Fury è il normalissimo Tank americano della seconda guerra mondiale sul quale sono alloggiati il sergente "Wardaddy" (Brad Pitt), Boyd (Shia Le Beouf), Travis, l'ispanico Trini ed un mitragliere che è appena morto. Il suo rimpiazzo è il giovane Norman che non sembra in grado di assuefarsi alle bruttezze della guerra, soprattutto a considerare la vita di tutti i partecipanti come un punto di un gioco, di un gioco terribile.

Un Brad Pitt ingrassato e convincente che si muove quasi all'unisono e che pare avere bisogno di spalle e non di colleghi attori, forse proprio per una deliberata scelta degli autori e del regista che hanno visto nel rapporto tra il giovane mitragliere e il suo sergente - e non nel carro armato formato videogame - il vero nocciolo del film. Non si sa se Wardaddy debba insegnare a Norman l'arte crudele dello sprezzo della morte o se quest'ultimo rappresenti per lui un gettone per riassaporare momentaneamente la vita normale coi suoi valori. Certo, la vita può essere regalata anche dal nemico, ma la guisa del cinismo, forse, può essere rimossa solo con l'estremo sacrificio dell'immolazione e con l'etichetta - in tutto e per tutto guerresca - dell'eroe.

 

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