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Fury

Regia di David Ayer vedi scheda film

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Enrique

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Fury

di Enrique
4 stelle

Cambiano i protagonisti (neanche tutti), cambia la scenografia, ma la sostanza è sempre la stessa.

Lo “spettacolo” della guerra che esalta una retorica del linguaggio e delle azioni (meno quella degli ideali) cucita su misura per un preciso target di pubblico. Imberbe e lontano. Molto lontano.

 

La sporcizia, il lerciume, il fango ed il sangue sono quelli tipici dei migliori scenari di guerra.

Il (basso) livello etico propinato pure: la guerra è brutta forte, ma strappami di dosso il profumo di smaliziata innocenza e vedi come pure un agnellino recalcitrante si può trasformare in “Macchina” (da guerra).

Ma (purtroppo) non c’è soltanto questo in Fury.

 

In un inferno di corpi straziati e di puzza di morte, ci sono un parossismo posticcio degli animi ed un politically correct (vedasi il ravvedimento di Grady/J.Bernthal, dopo la ferina escandescenza domestica) incontenibilmente stridenti.

C’è un personalissimo senso di Dio, che piace tanto a quella fetta d’America che, cascasse il mondo, si ostina ogni santa domenica e levare sperticati inni al Signore (e magari - perché no? - a credere nel creazionismo), quanto, sul versante opposto, a quegli americani che fingono di vivere nel dubbio, giusto per dare una spolverata alla coscienza.

http://mantheline.com/blog/wp-content/uploads/2015/01/fury-2014-movie-screenshot-boyd-swan-lebeouf.jpg

E c’è l’estenuante, deleteria logorrea di tutto l’affiatato drappello di commilitoni (ma, soprattutto, del loro capo, il quale - per quanto mi stia umanamente simpatico - non appare convincente in quasi nessuna scena, né sul piano dell’espressività, né su quello della credibilità). Ma com’è possibile che non si comprenda appieno il valore delle (sole) immagini e del (solo) solo frastuono della guerra? Non c’è bisogno di spiegare (male) anche le virgole. Visivamente parlando, Fury è già, ex se, di grande impatto (= si commenta da solo). Che altro aggiungere che non scada fragorosamente nel patetismo e nella banalità?

 

Pochissime, invece, le scene davvero azzeccate (una, in particolare - giusto un frammento nell’economia del film - la menziono infra), mentre, nella caciara caotica della seconda parte, all’attenzione si impongono, piuttosto, delle defaillance di scrittura talmente madornali da far contorcere le budella (più di quanto non abbia fatto il realismo della prima parte) e da ritorcersi prepotentemente contro sé stesse (la gestione di tutta quella parte di film, fino all’ultima scena - quella che vede come protagonista Norman/Logan Lerman - è causa di un tale insanabile strappo alle più elementari regole del buon senso e della verosimiglianza che non vi ci si può passare sopra con indulgenza).

Il fatto: il soldato semplice Norman “Macchina” Ellison, oramai del tutto esausto ed impaurito, si rifugia sotto il carro armato, ma, scoperto da un giovane tedesco (e - che sia chiaro - solamente da lui) non esita ad arrendersi (sic!). Ma l’incontro casuale fra un moto di pietà e l’innocenza della codardia produce effetti inaspettati (frammento pregevole).

Dopodiché, il mattino dopo (scomparsi, come per magia, sintomi e fantasmi della paura) un profondo sussulto di “dignitoso” eroismo lo porta ed imbracciare nuovamente il fucile, giusto in tempo per finire fra le braccia osannanti dei suoi riconoscenti compatrioti.

R.Emmerich non avrebbe saputo fare di meglio.

 

Consigliato, dunque, agli amanti del genere che non hanno uno straccio di pretesa.

Inutile sottolineare, di riflesso, a chi sia sconsigliato.

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