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Asfalto che scotta

Regia di Claude Sautet vedi scheda film

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La recensione su Asfalto che scotta

di hupp2000
9 stelle

Anche se successivamente diventerà maestro di un cinema di tutt’altro genere, è legittimo affermare che con il suo secondo film (il primo fu una trascurabile commedia con Louis de Funès) Claude Sautet realizzò un grandissimo noir, degno delle analoghe pellicole americane dei due decenni precedenti. Dalla Nouvelle Vague il regista prende in prestito il nascente divo Jean-Paul Belmondo, che nello stesso anno è protagonista di “A bout de souffle” (“Fino all’ultimo respiro”) di Jean-Luc Godard, e affida a Georges Delerue la composizione della colonna sonora. Per il resto, resta distante dalla corrente innovatrice del suo tempo. Punta sul classico e fa centro da ogni punto di vista. Il film inizia con un palpitante viaggio da Milano a Parigi, passando per Sanremo e Nizza. Abel Davos, un fuorilegge condannato a morte in contumacia, è in fuga con la moglie e i due figli. Sbarcato in Costa Azzurra, perde in uno scontro a fuoco con la polizia la moglie e il suo compare. Prosegue la sua odissea con i due figli, raggiunge la capitale francese e cerca aiuto presso i suoi ex-complici, delinquenti riciclatisi proprio grazie ad Abel in confortevoli vite borghesi. Gli amici di un tempo gli voltano le spalle anche se, per pudore e rimorso, gli affiancano Eric Stark, un giovane del “giro” che tenterà il tutto per il tutto per tirarlo fuori dai guai. Abel Davos porta a termine la sua vendetta uccidendo coloro che lo hanno tradito, ma finisce a sua volta con l’essere arrestato, condannato e giustiziato.

 

Gli elementi che concorrono alla realizzazione di un capolavoro ci sono tutti, dalla sceneggiatura e dai dialoghi curati da José Giovanni, autore del romanzo da cui il film è tratto, passando per l’interpretazione di Lino Ventura e Jean-Paul Belmondo, fino alla colonna sonora di Georges Delerue, il compositore preferito di François Truffaut. In quasi tutta la sua carriera di romanziere, sceneggiatore e regista, José Giovanni ha tratto ispirazione da eventi autobiografici e, come è noto, la sua vita non fu certo tranquilla e il personaggio è ben lungi dall’essere uno stinco di santo. Collaborazionista durante l’occupazione tedesca e impelagato negli ambienti malavitosi della sua epoca, quando parla di delinquenza, delitti e polizia sa di cosa parla. Questo lo porta ad essere molto realistico nella ricostruzione di scenari, rapporti umani, lessico e usanze della mala. Non avrà la verve né l’humour dell’irraggiungibile dialoghista del noir francese Michel Audiard, ma aderisce sicuramente di più alla realtà, come in questo film di poche parole, teso e pessimista. Il regista Claude Sautet si vede quindi servito da dialoghi eccellenti e appare non meno ispirato nella scelta dell’inedita coppia Lino Ventura/Jean-Paul Belmondo. Il primo è già un’affermata vedette, il secondo una stella nascente. L’alchimia tra i due funziona a meraviglia: amicizia virile tipica del genere, lealtà reciproca e disinteressata, sentimenti umani profondi a dispetto dei ruoli da “cattivi”. Il film scorre velocissimo, il susseguirsi degli eventi è costantemente imprevedibile e lo spettatore resta inchiodato alla poltrona come nella migliore tradizione del cinema noir. La co-produzione italo-francese assegna una piccola parte a Sandra Milo, giovane ingenua che s’innamora di Jean-Paul Belmondo, molto più credibile di quanto mi aspettassi in un ruolo atipico nella sua carriera. 

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