Regia di Christopher Nolan vedi scheda film
Siamo alle solite: il pianeta è alla frutta. In un futuro non lontano tempeste di sabbia devastano coltivazioni, centri abitati e i bronchi degli abitanti succubi di queste bufere turbinose di polvere. Il grano si sta estinguendo, mentre resiste la specie del granturco. Nelle scuole le direttive nazionali cercano di direzionare il più possibile gli allievi verso la coltivazione di quel cereale, l’unica salvezza per una mondo affamato e impolverato.
Anche Cooper, ex ingegnere e pilota brillante di mezzi spaziali si è dato all’agricoltura e vive con due figli adolescenti e un suocero collaborativo, coltivando campi vasti a perdita d’occhio, minacciati da tempeste sempre più devastanti.
Un giorno, per caso, Cooper e figlia si mettono sulle tracce di un drone in orbita, svolazzante ma senza meta: circostanza che spinge l’uomo ad inoltrarsi tra le colture, pneumatico bucato e colture falcidiate, pur di rintracciarne la rotta e farlo atterrare; in questo contesto i due, per caso, vengono a scoprire una base ove un anziano brillante scienziato sta avviando studi complessi basati sulla fisica quantistica e sulle teorie di Einstein, al fine di trovare una soluzione, e dunque una nuova casa, un nuovo pianeta ove traghettare una umanità sfinita e devastata da una mutazione climatica ormai al limite della sostenibilità.
Per Cooper l’opportunità di imbarcarsi in un viaggio ai confini del tempo e dello spazio, coadiuvato dalla bella figlia dell’anziano ricercatore.
Nei nuovi mondi inesplorati Nolan trova la vera forza per stupirci ed emozionarci con la rappresentazione della forza e della spettacolarità degli elementi, quasi come era riuscito con Inception, di cui questo ambizioso progetto ne riprende certi assurdi dimensionali e temporali.
A rischio poi di rimanere imbrigliato in una soluzione deduttiva finale che occupa tutti gli ultimi (pesanti) tre quarti d’ora, costretti e condizionati dal (puerile) tentativo di una adolescente di intuire il linguaggio di un fantasmino nascosto dietro la parete di libri che sovrasta la camera della ragazzina, e che in realtà nasconde la chiave di lettura-tranello su cui fa perno tutta la vicenda.
Matthew McCounaghey, che continua ad essere baciato dall’ispirazione recitativa che lo ha reso attore di prima grandezza, dopo un passato non proprio promettente, è un elemento convincente, così come quasi tutto il superbo cast coinvolto: Jessica Chastain sovrasta di gran lunga, e non solo fisicamente, una Hathaway dagli occhioni sempre troppo umidi da pulcino accigliato; John Lithgow e Michael Caine, indispensabile in ogni film di Nolan, sono efficaci e lussuose partecipazioni che lasciano il segno. Una superstar non accreditata qui impegnata in un per lui insolito ruolo da traditore, fa la sua comparsa in quello che è ben di più di un cameo d’eccezione.
Interstellar emoziona solo a tratti, soprattutto quando è la maestosità del creato e la bellezza sfolgorante, prepotente e ingovernabile dell’universo ad avere la meglio - grazie alla potente vena registica di un autore sin troppo di culto - sulle scaramucce capricciose e melodrammatiche di una umanità che si è autodistrutta come un kamikaze, ma non si rassegna alla sua fine.
Scritto dal fratello di Nolan, Jonathan, il progetto è passato dalle mani di Spielberg fino a Christopher che ne ha modificato, e forse compromesso, un finale che accettiamo e digeriamo a fatica solo perché non abbiamo alternative.
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