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Storia d'inverno

Regia di Akiva Goldsman vedi scheda film

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La recensione su Storia d'inverno

di supadany
4 stelle

Ad Hollywood Akiva Goldsman è un pezzo grosso, se non tanto per la qualità media del suo operato è innegabile che col suo lavoro di produttore e sceneggiatore abbia conosciuto tanti fragorosi successi. 

Per l’occasione si avventura anche alla regia e si può affermare che non abbia scelto con oculatezza come affrontare il grande passo.

New York ai primi del ‘900, Peter Lake (Colin Farell) è un ladro braccato da Pearly Soames (Russell Crowe) ed i suoi scagnozzi che durante un’effrazione incontra Beverly Penn (Jessica Brown Findlay), una giovane con i giorni contati, causa malattia incurabile, che non si fa intimidire.

Anzi, i due s’innamorano ma il tempo è tiranno.

Di lì a breve Peter si troverà catapultato in una nuova realtà.

 

Colin Farrell

Storia d'inverno (2014): Colin Farrell

 

Un amore senza tempo e destini incrociati, un binomio che sarebbe una panacea per ogni cuore perennemente incrinato dagli effetti dei sentimenti, peccato che Akiva Goldsman scelga un’intreccio complicato, che per giunta gestisce malamente soffocando anche buona parte di quella materia che poteva essere, ed in parte lo rimane, coinvolgente.

Si rivela così essere un percorso su di un crinale sconnesso, a tratti non si sa proprio da che parte prendere, fatica a trovare una sua poetica e spesso spiazza, ma non in senso buono.

Più affascinanti la doppia New York, che diventa personaggio, ed il messaggio profondo (“l’amore risiede nel salvare gli altri”), ma vi è tanto, troppo, contorno difficile da digerire.

Anche il cast è trattato male; se Russell Crowe è fin troppo sovraccarico (sembra un fumetto rognoso e troppo colorito), lo scettro del “non-sense” spetta di diritto a Will Smith che è proprio da scult assoluto (si sa, spesso la riconoscenza non paga), mentre Colin Farrell si ritrova male in arnese, più che altro alle prese con troppi stati emotivi da rendere vivi.

Ed è così che un progetto ambizioso finisce col divenire prima di tutto sregolato, un “romantic fantasy” che crea un universo tutto suo su due archi temporali che, soggetto di base a parte, appare troppo assurdo per poterci credere (troppi passaggi non stanno in piedi e non mi riferisco alle parentesi “da favola”) ed il rischio del ridicolo involontario si concretizza troppe volte, nonostante di fronte ad alcune scene sia impossibile non emozionarsi (penso all’incontro con un’anziana che Peter aveva conosciuto da bambina, il tempo improvvisamente si ferma).

Troppo “baracconata” per colpire laddove vorrebbe.

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