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Mary Is Happy, Mary Is Happy

Regia di Nawapol Thamrongrattanarit vedi scheda film

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La recensione su Mary Is Happy, Mary Is Happy

di OGM
8 stelle

410 tweet consecutivi di una ragazzina thailandese. Cuciti insieme fino a formare una storia. Nasce così questo film: un diario di vita adolescenziale, che segue le vicende scolastiche e sentimentali di una certa Mary Malony, studentessa dell’ultimo anno delle scuole superiori presso un collegio femminile. La sua esistenza procede a suon di clic. Uno per ciascuno dei concisi pensierini che, quotidianamente, da novembre ad aprile, ha consegnato alla rete: riassunti degli eventi della giornata, punti finali di riflessioni, immagini metaforiche di fugaci stati d’animo. I lampi dell’instant messaging illuminano singoli momenti nello scorrere del tempo. In questo modo anche il tedio prende un colore vivace, ed il caos assume un contorno preciso, almeno per un attimo. Le tradizionali pagine di diario stendono compostamente la vita, eternandone un’ombra piatta ed inerte, come un fiore seccato in mezzo a un libro. Invece i cinguettii telematici la pizzicano con fare arguto e irriverente, sollevandone i lembi nascosti, per denudarne a sorpresa le parti più intime, trasformate, per l’occasione, in provocatorie folgorazioni.  L’idea di Nawapol Thamrongrattanarit, giovane registapartecipante al programma Biennale College, conferisce profondità artistica e coerenza letteraria alla comunicazione frammentata e gergale dell’era informatica, pagandone però lo scotto in termini di lentezza e prolissità. Il suo film è un flusso rarefatto ed inquieto di azioni e parole che si affannano a riempire gli spazi tra le righe di un micro-testo poetico, saltellante tra punte di lucidità ed abissi di sconforto. Viene in mente il percorso di un dito che si sposta zigzagando sulla tastiera, volando da un carattere all’altro, inseguendo acrobaticamente il filo del discorso, a costo di tornare sui suoi passi, di ripetersi, di deviare lateralmente. La sua danza è irregolare, spesso disarmonica e segnata dalla stanchezza, perché l’esitazione è costantemente in agguato, lo slancio spesso latita, e la fantasia non sempre viene in aiuto. Mary, lanciando i suoi segnali digitali, vuole lasciare una traccia del suo procedere a tentoni, lungo un cammino di crescita che è tutto in salita, e per di più scivoloso e pieno di svolte incomprensibili. Mary trascrive  il suo vivere un po’ a casaccio, secondo i suoi umori – fragili e mutevoli – e quelli degli adulti, del destino, del mondo, ineluttabilmente rigidi, spietati, ermetici. Una ragazzina ha bisogno di appigli, sulla parete da scalare, e se li costruisce sotto forma di parole, pronunciate così, nel modo  spontaneo e indisciplinato con cui escono dal cuore. L’unico senso complessivo è la volontà di andare avanti, fermandosi solo quando la fatica ed il dolore sono troppo pesanti da sopportare. Mary insiste, con quel misterioso ragazzo al quale non è in grado di dichiarare il suo amore, con quel benedetto annuario scolastico che non riesce ad ultimare, con quell’amica inseparabile, Suri, alla quale sa di dovere presto  dire addio. La sua tenacia crea un colossale edificio narrativo, malfermo nella struttura e semideserto nell’anima,  che compie il miracolo di rendere monumentale l’approssimazione ed imponente l’inadeguatezza. Il cinema del Sud-est asiatico ama prolungare le attese ed i silenzi, sottolineando i tentativi ed i fallimenti, gli interrogativi e le delusioni, considerati come le tappe salienti di ogni itinerario di scoperta e formazione. In Mary is Happy, Mary is Happy ritroviamo lo spirito pellegrino ed ingenuamente contemplativo di autori come Apichatpong Weerasethakul e Lav Diaz; cambia solo lo scenario, non più mitologico e naturalistico, bensì grafico e computerizzato. È sempre accidentata la strada che porta alla conoscenza di se stessi, anche se, per una volta, la giungla che attraversa è un intrico di circuiti elettronici e contatti virtuali.  

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