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Palo Alto

Regia di Gia Coppola vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Palo Alto

di myHusky
4 stelle

Famiglia numerosa, quella dei Coppola.

Dopo l'esordio alla regia di Sofia, che debuttò sulla lunga durata nel lontano 1999 (Il giardino delle vergini suicide), è arrivato ora il turno della ben più giovane (27 anni) Gia Coppola che, nonostante il cognome particolarmente ingombrante, ha deciso di mettersi in gioco riadattando per il grande schermo una serie di racconti scritti da James Franco. Prende vita così Palo Alto, presentato a settembre dell'anno scorso alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e, successivamente, al Toronto Film Festival. 

Ammiccando al cinema della zia (e non solo), la nipote di Francis Ford mette in scena un dramma esistenziale con al centro un gruppo di adolescenti nel pieno della loro ribellione adolescenziale. Suona tutto come già sentito, ma vale la pena andare un po' più a fondo per capire i veri problemi e i motivi dell'inadeguatezza del film.

 

"James era d’accordo, voleva qualcuno che desse una propria interpretazione a quel libro. L’abbiamo fatto passo dopo passo, mi ha detto di prendere le storie che mi piacevano e scrivere un adattamento per ciascuna di esse e poi, successivamente, abbiamo fatto un test film con i miei amici. Solo dopo di ciò ho potuto vedere cosa funzionava e cosa no, così ho potuto combinare le storie facendo qualcosa di più di un semplice intreccio."

(Gia Coppola)

 

Palo Alto si presenta, dunque, come una sorta di mash-up tra i diversi racconti scritti da James Franco. Abbiamo April, Teddy e Fred, le loro prime relazioni sessuali e i loro party a casa di amici, tra alcol e fumo. Niente di nuovo, si portrebbe dire. Eppure alla giovane Gia Coppola va il merito (forse l'unico, purtrppo) di essere riuscita a combinare le storie mettendo in scena un intreccio credibile che potesse attingere da più fonti (seppur tratte da una stessa raccolta). 

Ci si getta all'interno di quel fenomeno adolescenziale, cercando di assaporarne i sapori, i colori e i suoni. Lo sguardo si posa sui volti e prova a scrutare all'interno, per andare alla ricerca di quelle ragioni tanto difficili da scovare quando si è giovani ("You’re young. You don’t know why you do things. But there’s always a reason."). La Coppola insiste sui silenzi, sulle occasioni sprecate, cercando di rendere il tutto più complesso e drammatico (inutilmente). Si prenda, ad esempio, la silenziosa relazione d'amicizia/amore tra April e Teddy che si consuma in un continuo non detto, nell'impossibilità di esprimere i propri sentimenti ("April and Teddy’s story is this kind of missed opportunity for romance, as they’re caught in that feeling of not being able to express themselves to each other. That really resonated with me." afferma la regista in un'intervista). 

Salta all'occhio, a questo punto, un inevitabile paragone con il ben più riuscito Spring Breakers di Harmony Korine. C'è, infatti, una sorta di struttura ricorrente, un'alternanza di momenti riflessivi e di ribellioni adolescenziali. Si tratta, fondamentalmente, della volontà di giocare sui contrasti, sulle provocazioni, per dar vita ad una pellicola tanto ricca quanto complessa. Quello che manca però in quest'opera prima, è il coraggio e, molto probabilmente, la capacità di andare realmente a fondo. Tutto resta in superficie, in un continuo e sterile ammiccamento al cinema di Korine e a quello della zia (si riconosce una certa atmosfera alla Bling Ring). Non c'è complessità, non c'è provocazione e, soprattutto, non c'è personalità.

Palo Alto non riesce ad andare oltre la moda, oltre le banalità di quel fenomeno pop patinato che Harmony Korine, invece, era riuscito ad affrontare in maniera assai diversa. La Coppola, non volendo prendersi particolari responsabilità, si limita ad un'insignificante osservazione del fenomeno, rischiando spesso, però, di cadere in inutili romanticherie da commedia adolescenziale americana (si torna alla relazione dei due protagonisti).

Possiamo anche dare la colpa ai racconti di James Franco o alla difficoltà di un esordio ricolmo di aspettative, ma questo non basterebbe a giustificare la piattezza di una pellicola che non riesce ad andare oltre la mediocrità di uno sguardo asettico su un mondo che altri, prima di Gia Coppola, hanno avuto il coraggio di affrontare con ben altre potenzialità.

 

Non va di certo meglio quando si cerca di affrontare il film da un punto di vista strettamente stilistico. Fotografia, luci, musiche, il tutto si presenta come già visto e già sentito (continuano i riferimenti al cinema della zia e di Korine) e, soprattutto, denota una scarsità di inventiva che, in fin dei conti, rappresenta il principale problema della pellicola.

Dove si posiziona la regista? Dov'è la sua personalità? Il suo sguardo autoriale sul mondo e su quel fenomeno adolescenziale che con (apparente) urgenza ha voluto affrontare? Palto Alto tace. Non riesce a rispondere a queste domande.

Una sola certezza: un po' come per Spring Breakers, la scelta del cast ha portato via una buona parte del lavoro ("That is 90% of the job" a detta della Coppola). Non si può certo dire, però, che questo abbia particolarmente aiutato il film, perché, a parte la buona interpretazione di Emma Roberts nei panni di April, nessun altro riesce a distinguersi (fatta esclusione di James Franco che si fa certamente notare, ma più per la persona che per la sua prova attoriale).

 

Palo Alto, a conti fatti, si mostra così: un film incapace di osare e, soprattutto, privo di una vera personalità. Gia Coppola si è divertita a giocare con le mode e con il cinema degli altri. Ha preso ispirazione dalla zia e ha provato a dar vita ad un film che potesse essere accostato, anche in minima parte, all'ultimo lavoro di Harmony Korine. Peccato che, di tutto questo, sia rimasto solamente un inutile scopiazzamento privo di quell'inventiva e di quel coraggio che avrebbero dovuto caratterizzare una pellicola del genere.

Siamo, senza ombra di dubbio, lontani anni luce da quello che si è soliti definire un "esordio promettente" ed è giusto ribadire, ancora una volta, che non è di questa tipologia di prodotto che il cinema odierno ha bisogno. 

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