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Ida

Regia di Pawel Pawlikowski vedi scheda film

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La recensione su Ida

di EightAndHalf
8 stelle

Fotografie. 

Sentimenti elementari, polarità asimmetriche, turbolente interiorità.
Da un lato Anna, in realtà Ida, un piccolo alieno sulla Terra, occhi rotondi neri e profondissimi, aspirante monaca soave, delicata e minuta, quasi uno sviluppo (in perturbante, incontrovertibile tenerezza) della bambina del finale dello Stalker tarkovskijano, anche se qui il miracolo è un altro ed è ben meno evidente.
Dall'altro lato Wanda, acida zia cinquantenne magistrato su cui pesano le terribili decisioni probabilmente prese in quegli enormi processi che affollarono i tribunali e i saloni europei del secondo Dopoguerra, rimpianti scavati nelle leggere rughe del suo volto, corpo sempre attraente ma leggermente appassito come dai dispiaceri di una vita fin troppo profana e banale. 
Gli antipodi e il loro rapporto, sempre sulla scia di un vecchio My Summer of Love che era passionale in maniera ben più sfacciata e non era sfaccettato e "fotografico" come questo Ida che entra sotto la pelle con il suo minimalismo immobilizzante eppur vibrante di calore umano e di memorie pulsanti e titubanti. Un racconto di formazione on the road solo sulla carta, un percorso indagatore che si interseca con quello dello spettatore che è costretto a decifrare l'immanenza di abbacinanti immagini ferme e luminose, assediate dalle tenebre di una guerra che pure aveva contagiato la Polonia quindici anni prima circa di quando si svolge il film (anni '60, quando il jazz e Adriano Celentano si diffondevano oltralpe e oltre-l'-Atlantico) ma rese chiare e quasi rassicuranti dal pudore e dalla candida mestizia che trasudano. Pawlikowski, che indaga il mondo tramite gli occhi profondi delle sue donne tormentate, lancia un atto d'amore ai suoi personaggi imperfetti, prendendoli spesso in primo piano ma sempre decentrati, focalizzati sullo sfondo giustamente fuori fuoco ma spostati dal centro dell'inquadratura, smossi come se stessero occupando un punto di vista che innavvertitamente ha deciso di posizionarsi lì e di documentare. Con esiti che solo teoricamente sarebbero casuali, ma che invece tendono alla resa antispettacolare di un dramma umano pieno di storie e di Storia come anche pieno di tempi e di silenzi, nelle quotidianità ellittiche delle due protagoniste che viaggiano, stuzzicano e sono stuzzicate ("hai mai avuto pensieri peccaminosi?" chiede Wanda ad Ida), si affezionano e si fanno corteggiare, contengono sotto un costume esteriore, imposto dal fuori o autoimposto da dentro (rispettivamente Wanda e Ida), una bellezza lancinante, fulminante, armoniosa come sarebbe l'immagine se fosse tutto centrato, sull'asse, a fuoco. 
Invece Ida si rivela essere, nel suo dispiegarsi, un capolavoro di piccole imperfezioni, il cantore dell'estrema dolcezza delle piccole sbavature, e narrando la sua storia che pure è appassionante e coinvolgente, non si scorda mai dei suoi personaggi e tiene a sentirne le vibrazioni, mantenendone sempre i canoni e le caratteristiche, come quando Ida prende idealmente i vestiti dei suoi cari defunti mentre invece Wanda, più materiale e carnale (in quanto madre privata fisicamente del figlio), prende il piccolo teschio del suo indimenticato Thaddeus. Sarebbero anche, loro due, spiritualità e carnalità, santa e puttana, ma è la stessa Wanda a scherzarci su, e così la leggera imperfetta asimmetria si fa strada aggraziatamente fino a un finale da non rivelare perché estremamente significativo, portatore di un piccolo miracolo umano che fa urlare alla sofferenza, all'attonito sublime, al sacrificio, della vita come del piacere (più banale) dello spettatore, che ama così tanto i personaggi (sprizzanti d'amore invero) ma viene sacrificato per qualcosa di più grande, una corrispondenza affettiva post mortem quasi salvifica che fa del film di Pawlikowski un piccolo concerto di ambiguità. Quando, infine, le immagini cominciano a "muoversi", le fotografie diventano umanità. Spaventosamente emozionante.

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