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Arrivederci ragazzi

Regia di Louis Malle vedi scheda film

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La recensione su Arrivederci ragazzi

di LorCio
10 stelle

Julien offre il paté di maiale a Bonnet. Lui rifiuta, e finalmente Julien capisce lo strano comportamento di quel misterioso ragazzo, dallo sguardo assorto in chissà cosa, forse segnato dalla paura di essere scoperti. Bonnet, infatti, è ebreo. Un ebreo, come quelli a cui non è permesso, tra l’altro, di mangiare in un elegante ristorante francese, nonostante ne sia cliente fisso. È un film che vale una vita, Arrivederci ragazzi. Prima di essere una testimonianza di quanto sia stato crudele, malato, insostenibile l’Olocausto (e le persecuzioni razziali che lo precedettero), è il racconto di un’amicizia. Forse non è del tutto incentrato sul rapporto tra il benestante Julien e il “clandestino” Bonnet (ci sono anche i legami con gli altri ragazzi del collegio, un’umanità di varia provenienza), ma così semplice, lineare, limpido nella rappresentazione di un divenire pre-adolescenziale.

 

 

La fase post-infantile raramente ha raggiunto un livello di così chiara e onesta matrice – si è citato, a ragione, il Truffaut de I quattrocento colpi e de Gli anni in tasca – e la motivazione della buona riuscita è presto detta: Malle sente l’esigenza morale di immortalare quel che la morte violenta ha anzitempo strappato alle epifanie della vita. E per realizzare il suo intento non si muove sul binario della retorica o della celebrazione. Il suo, d’altronde, è un film profondamente anti-retorico, talmente secco da non risultare comunque mai sgradevole. È una parabola umana di formazione e crescita, e il momento universale del passaggio da una stagione all’altra si manifesta in un’importante sequenza del film: la caccia al tesoro, il non rientrare in collegio perché troppo impegnati nella ricerca della chimera – che sta a simboleggiare l’accettazione dell’altro, l’avvistamento del cinghiale, dunque la paura di morire “eroicamente”, fino al ritorno in collegio.

 

 

Essendo ancora bambini, fondamentalmente Julien e Bonnet giocano a nascondino con le milizie che li levano dal bosco per riportarli al nido: i due non si fidano del lupo, ma devono cedere perché non hanno scelta. E il percorso di crescita non si limita al macro che cerca il micro all’interno di un ideale cosmo che per il primo è concretezza, ma per il secondo altro non è che scoperta e conoscenza: non si deve ignorare il ruolo del rettore del collegio, la cui missione è quella di far capire ai ragazzi, una volta per tutte, che tutto il male del mondo è mosso dalla cupidigia e da null’altro. È il danaro che convince uno dei ragazzi a svelare alla Gestapo il segreto del nascondiglio, sono quindi i soldi le armi infallibili per ottenere quel che si vuole. Anche questo aspetto fa parte della crescita.

 

 

Di fronte al bivio esistenziale – al di là del manicheismo – tra il giusto e l’ingiusto, c’è chi sceglie di battere la strada più cattiva e chi non si piega all’ingiustizia in nome della ragione. Fa parte della vita. E non appaia strano – anzi, è così tristemente evidente – come la morte rappresenti il segnale del passaggio. Arrivederci ragazzi, ci vediamo in un’altra vita, sperando che sia un po’ migliore di questa, almeno non dominata dall’avidità di quest’Uomo malato. Fermo immagine di Julien, un primo piano struggente che vale una carriera, che guarda il rettore e i piccoli ebrei (tra cui Bonnet, ormai smascherato) avviarsi verso i campi di sterminio. Come Antoine Doinel, anche gli occhi di Julien, da questo momento, vedranno la Realtà in modo diverso, più consapevole, più maturo. Julien è Louis Malle, e pare che quell’ultima immagine sia rigata da qualche lacrima di malinconica amarezza, di straziante dolore.

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