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Sangue

Regia di Pippo Delbono vedi scheda film

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La recensione su Sangue

di OGM
8 stelle

Dialogo tra un artista buddista e un ex brigatista tornato in libertà. Pippo Delbono e Giovanni Senzani si incontrano per caso, a Napoli, in occasione della messa in scena, da parte del primo, di Cavalleria rusticana al Teatro San Carlo. Nasce così un’amicizia imprevista, insperata, tra due anime diversamente rivoluzionarie. Sangue è anzitutto un libro scritto in coppia, un’autobiografia a due voci, in cui ognuno si racconta non per essere capito, ma per essere se stesso, fino in fondo. La religione e l’ideologia. La malattia che prefigura la morte, la teme, la piange, e intanto la tiene lontana, e la guerra che, invece, quella morte la cerca, la infligge, la ripensa e non la può dimenticare. Sfogliare quelle pagine significa scoprire due opposte verità che esistono solo dentro chi le ha vissute, dopo averle magari, in parte, inventate, per avere qualcosa a cui aggrapparsi, con cui reagire alla realtà, con la forza di chi crede, ed accetta di buon grado il rischio di sbagliare, insieme alla certezza di ritrovarsi malvisto ed incompreso. L’errore può essere una fonte di passione: è l’avventuroso vagabondare controcorrente che porta alla deriva, al culmine di un viaggio che solo pochi possono dire di aver compiuto. Tracciare la propria strada zigzagante attraverso le tempeste dell’esistenza, quella dell’individuo come quella della società, è il principio guida di chi vuole continuare a crescere, facendo del dolore, della follia, della disperazione, il propellente che spinge l’esperienza oltre i confini del pianificabile. In questo film la narrazione segue la scia del presente,  cogliendola nel suo deviare, ribelle, dalla strada segnata dai desideri del cuore, dalle aspirazioni della mente. La mamma di Pippo muore. La lotta di Giovanni fallisce. Ciò accade seguendo le imperscrutabili logiche del divenire,  secondo le quali perseverare è un dovere, benché sia inutile, e intanto ogni cosa si perde, all’improvviso, senza un vero perché. Il discorso può partire dalle case dell’Aquila distrutte dal terremoto, e chiudersi con l’immagine di un corpo senza vita, ripreso da un telefonino, all’obitorio, nel maggio del 2012, oppure rievocato a parole, a distanza di tanti anni, dall’autore di un barbaro assassinio. Il senso della fine impedisce di fermarsi. Il fuoco che brucia fa propagare l’incendio: è luce che va alla conquista del mondo, mentre consuma le conquiste del passato. Si diventa nuovi solo nel momento in cui si accetta di convivere con quello che si è stati e che non si è più, ma che continua a partecipare alla definizione del nostro io. Anche ciò che si cessa di possedere, rimane, in ognuno di noi, come impronta permanente di un passaggio  irreversibile. Non si distoglie lo sguardo da un cadavere, anche se la suggestione è penosa, drammatica, penetrante. Pippo inquadra Margherita a camera fissa, per lunghi minuti,  prima che la chiudano nella bara. Giovanni ha voluto vedere il volto di Roberto, scattargli una fotografia, subito dopo averlo fatto uccidere. Il peso di tali ricordi ci aiuta a proseguire il cammino sulla terra, tenendoci saldamente attaccati al suolo, sfatando l’illusione che gli eventi, i pensieri, le emozioni, possano semplicemente volare via. Solo la poesia ci può sollevare dalla nostra miseria, con la leggerezza di idee che appartengono, però, solo alla fantasia dei bambini o alla gloria dei santi. In questo film sono le note di sottofondo che fanno da controcanto all’amara concretezza dell’imperfezione umana, quella che non smette mai di tentare l’impossibile, di sfidare la ragione, barcollando al ritmo di un’ebbra musica interiore: quella che batte all’impazzata proprio quando le circostanze imporrebbero il silenzio.  In mezzo alle macerie abbandonate. Nella clandestinità dei terroristi. Tacere non si può. E parlare è un’eroica fatica.  

 

Giovanni Senzani, Pippo Delbono

Sangue (2013): Giovanni Senzani, Pippo Delbono

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