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La vita oscena

Regia di Renato De Maria vedi scheda film

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La recensione su La vita oscena

di OGM
7 stelle

La poesia sorvola sulla realtà, per travisarla. La stacca da terra e la fa a pezzi, per impedirle di diventare una storia. Non cercate una trama, nell’autobiografia di Aldo Nove (pseudonimo dello scrittore Antonio Centanin). E non sforzatevi di vedere, nella grafica spasmodica e nel dinamismo psichedelico del film di Renato De Maria, i contorni definiti e ritmici di un’emozione. Il cuore di questo racconto è l’unica cosa viva: un organo che pulsa all’impazzata, al centro del paesaggio, ma che è libero di battere solo in quanto separato dal mondo, da quelle pareti che lo circondano senza abbracciarlo, muovendosi ad una velocità diversa, correndo quando lui sta fermo, e facendo da tappezzeria alle sue fughe a rotta di collo. Andrea perde i genitori quando è ancora adolescente, e si ritrova improvvisamente solo, con i suoi sogni spezzati, senza una prospettiva,  col misero conforto del sonno, delle allucinazioni, dei soldi che ancora non sono finiti, nonostante quelli spesi in alcol e cocaina. Ogni tanto sfugge alla vita sfrecciando a bordo del suo skateboard. È l’unica cosa che possa dire veramente sua, ora che anche la casa di famiglia se ne è andata in fumo. Lo spazio, intorno a lui, è diventato incredibilmente anonimo ed esteso, come i margini delle pagine che si fanno larghi, intorno alle parole del romanzo. In patronato avevo una camera. Una tra tante. Un mobile, una scrivania e un letto. C’è tutto il vuoto necessario per perdersi, perfino nella stanza dell’istituto cattolico in cui il ragazzo è ospitato, nella grande Milano, dove potrebbe studiare filosofia, se solo ne avesse voglia, se solo non preferisse rimanere preda delle sue visioni, di origine chimica, onirica, sessuale, in un misto di nostalgia per il paradiso infantile, e di brama verso l’inferno dell’età adulta. La sua esistenza è tutta un desiderare per non avere, un non avere per poter desiderare. È così facile avere un obiettivo nella vita. Goderne appieno. Basta privarsene. Le immagini si susseguono con la acquosa instabilità di un pensiero che navighi nella fuggevolezza, assumendo forme al contempo familiari e assurde, cupamente estranee ma simpaticamente ammiccanti. L’alienazione è un discorso costruito sui concetti frantumati nelle schegge dei versi, concatenando suggestioni che arrivano violente e taglienti, per sedurre e fare molto male. La pagina si riempie d’acuminate punte di amore/ e lì soltanto la vita mi risponde. Andrea continua a scorrazzare senza meta, per sottrarsi alla ragione, alla morale, ad ogni attività che possa conferire al suo vagabondare una direzione precisa, un traguardo con cui confrontarsi. Qualcosa di me era me. Andava avanti. Senza sapere cosa fosse. L’io narrante persevera, nel suo cammino, nella sua impresa di accompagnare un flusso di istanti che non hanno requie, ma che non vanno da nessuna parte. Il tutto sta insieme grazie alla presenza appiccicosa di una rabbia indolente, che smorza l’ispirazione, comprimendola in una sintassi singhiozzante ed asfittica. … io e il pipistrello eravamo i soli abitanti di una porzione di un angolo del pianeta troppo piccolo e incomprensibile per entrambi, … ma se in lui più prepotente si dimostrava la forza della tensione alla fuga, all’evasione, quel posto era la mia anima infestata di lui, di lui natura, di lui volontà, …  Il monologo è il collante grumoso di un’esistenza racchiusa in una matassa che si srotola nel più totale disordine, senza metodo, senza consequenzialità, con quel brancolare nel buio che è una ricerca al rallentatore, un’evoluzione che indietreggia verso il capo di un filo interrotto, per poter riconquistare la coscienza di sé. La vita oscena procede a tentoni, in un lungo giro di giostra dalla traiettoria contorta, lasciandosi sapientemente tentare dall’effetto discrepante tra audio e video di  debordiana memoria, che ridona al testo parlato il vertiginoso vigore dell’opera originale.  

 

Però.  Mi interessava la poesia.

Perché potevo leggerla per una pagina e chiudere il libro senza dovermi chiedere come sarebbe andata a finire.

 

 

(Le citazioni sono tratte dal film e dall’omonimo libro). 

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