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Sbatti il mostro in prima pagina

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Sbatti il mostro in prima pagina

di lamettrie
10 stelle

Un giallo stupendo, pieno di suspence. Una delle rare, e assolutamente meritorie, occasioni in cui la creatività serve non a occultare la verità della storia, ma serve a mostrarne meglio le condizioni.

L’argomento è questo: il grande potere, e iniquo, della distorsione giornalistica. La falsità viene diffusa, ma non da persone ignoranti: bensì da persone di grande intelligenza, scaltrezza, strategia, come il direttore Volontè. Questi è il classico caso di come una persona intelligente possa contribuire scientemente al propagarsi del male del mondo. Se fosse stato meno intelligente e colto, avrebbe avuto meno strumenti per ingannare il pubblico. Se ha potuto ingannare il pubblico, è perché, appunto, era più intelligente e colto. Qui non si sta dicendo che una persona è tanto più cattiva quanto più è intelligente e colta. Ma si sta dicendo quello che molto probabilmente Bellocchio aveva in testa: se c’è stata della menzogna e del male, ciò si è reso possibile più facilmente se si trovava qualcuno di intelligente e colto, e che insieme fosse anche disonesto verso la verità (e quindi costui doveva essere anche marcio in termini morali).

Proprio in questo senso il film mostra la sua verità e attualità, in quanto riguarda la quintessenza del giornalismo in Italia, ma anche del giornalismo in generale (a 45 anni di distanza!): viene premiato solo chi coscientemente diffonde falsità per i fini di denaro e potere.

E quindi, se s vuol far carriera, gli conviene concorrere alla diffusione del falso, se ciò rientra nelle richieste che vengono da parte di gruppi che vogliono potere economico e politico.

Se invece si vuol concorrere alla diffusione della verità, la quale dovrebbe essere l’unico obiettivo che la deontologia impone al giornalista, allora le alternative sono due, nei casi estremi: o tradisci la verità, se ciò è indispensabile per  far carriera; o promuovi la verità, anche a costo di vedere troncata la carriera. Roveda insegna.

Il cast è strepitoso, anche nelle parti più difficili, quelle del bidello assassino, e della prof collaborante, ovvero le parti delle persone che son  più affette da sofferenza mentale, e che quindi sono più ricattabili.

Volontè è il solito gigante: western a parte (a parte il genere meno interessante, quindi), di solito incarna il “buono”. Qui fa il “cattivo”, ma come solo lui sa fare: falso, ambiguo, profondissimo dal punto di vista psicologico. Laido fino al midollo. E rivela alla moglie il suo essere laido, non lo nasconde: implicitamente anche questo fa capire che il suo essere laido è voluto, il cui effetto è la ricchezza (la quale si vede nella casa) e il potere (il quale si vede nella capacità di ricattare la polizia). Volontè va anche oltre: basta vedere come ogni tanto gigioneggia, usando la  erre moscia da milanese che poi viene abbandonata quando non ha più bisogno di darsi un tono (e ciò fa capire che quel tono è del tutto sbagliato).

Miracoli nel mettere insieme cose insigni: Bellocchio, Volontè, l’arte impegnata immediatamente in conseguenza del ’68.

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