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La moglie del poliziotto

Regia di Philip Gröning vedi scheda film

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La recensione su La moglie del poliziotto

di Utente rimosso (Cantagallo)
7 stelle

Lunga meditazione è seguita alla visione de “La moglie del poliziotto” in attesa che da impressioni positive e qualche perplessità maturasse una valutazione generale sul film. Le due forze contrarie non si sono però amalgamate e a questo punto prendo atto di una sommatoria di reazioni contrastanti che non si fondono in un giudizio univoco. 


Formalmente il film è concepito in modo molto interessante: sulla rispettabile durata di 175 minuti si aprono e si chiudono uno dopo l’altro 59 microepisodi che, senza un legame strettamente sequenziale tra loro, si dispongono affiancati come le tessere di un mosaico, o meglio, come i pezzi di uno specchio infranto ognuno dei quali rimanda un’immagine differentemente angolata della stessa situazione. Ciò che emerge, per lenta accumulazione, è la vita semplice e apparentemente tranquilla di una giovane coppia con una bimba di 3 anni, vita nella quale a poco a poco affiorano indizi di violenza domestica.

 

David Zimmerschied, Alexandra Finder

La moglie del poliziotto (2013): David Zimmerschied, Alexandra Finder


Deciso a svelare fin da subito l’impostazione antinarrativa del film, Groning rompe gli indugi con alcuni episodi iniziali costituiti da una sola scena descrittiva di brevissima durata, per esempio: inizio episodio 1 – inquadratura fissa su tronco d’albero con insetto - fine episodio 1; oppure: inizio episodio 5 – campo lungo fisso con cane che entra e esce da inquadratura – fine episodio 5. Anche successivi episodi di vita familiare, un po’ più articolati, non hanno la funzione di portare a una progressione quanto invece di aggiungere elementi al caso preso in esame. 

 

Per quanto impegnativo, va subito detto che il rigore della presa di posizione formale di Groning è ammirevole e costituisce indubbiamente il punto di forza del film. Va inoltre riconosciuto che tale concezione di realtà frammentata non rimane confinata nel suo valore teorico ma costituisce il mezzo con cui il regista porta sullo schermo immagini che tutti abbiamo negli occhi per averle registrate, magari passivamente, senza però accorgerci di quanto fossero autentiche. Il modo in cui sa avvicinarsi senza filtri alle piccole verità del quotidiano è sorprendente e per comprenderlo basta soffermarsi, per esempio, sul modo in cui ritrae la bambina nella sua meravigliosa infantile noncuranza dello sguardo altrui e del trascorrere del tempo. Senza alcuna fretta la osserviamo fare le cose semplici di una bambina della sua età ovvero osservare in silenzio un lombrico che striscia, raccogliere un legnetto da terra, cantare una filastrocca ripetitiva fino all’ultimissima strofa.

 

scena

La moglie del poliziotto (2013): scena


Certo, da un punto di vista più prosaico, ovvero come esperienza diretta di visione in sala, non si può nascondere per onestà che tre ore di proiezione così parcellizzate richiedono molta fermezza anche da parte dello spettatore che ne comprende e ne apprezza l’impostazione, tanto da ipotizzare che, consapevole della sua audacia, Groning abbia quasi voluto lanciare una sfida al pubblico.


Non è però questa innegabile richiesta di impegno che mi ha lasciato maggiormente in dubbio, quanto invece il modo in cui emerge il tema forte del film, ovvero la violenza inflitta dal marito alla giovane donna. Naturalmente anche questo aspetto è reso con uno sguardo fenomenologico che non ne vuole approfondire le motivazioni ma si limita a registrare, con pari grado di neutralità, sia i lividi sulla pelle della donna, sia i momenti di serenità familiare che proseguono nonostante tutto, sia la presenza silenziosa ma viva della natura attorno all’abitato. L’uomo, che sembra innamorato ed è un padre affettuoso, esplode in accessi di violenza improvvisa, sembra stressato dal lavoro, forse è instabile psicologicamente. La donna subisce passivamente i maltrattamenti, non ha un’occupazione, non si confida con nessuno, forse si sacrifica in nome dell’unità familiare, forse subisce perchè non è indipendente o forse è soggiogata. Tutto è accennato, suggerito, disseminato lungo la pellicola. Per chi si addentra nel film, il punto sta proprio nel saper accettare tanto a lungo l’incertezza sulla psicologia comportamentale dei personaggi e sulle dinamiche interne alla coppia e, di conseguenza, l’impossibilità di partecipazione che di fatto inchioda lo spettatore alla poltrona in una posizione di mera osservazione.

 

David Zimmerschied, Alexandra Finder

La moglie del poliziotto (2013): David Zimmerschied, Alexandra Finder


Anche il totale, anomalo isolamento della coppia (non un contatto con un conoscente, non una telefonata da qualcuno) se da un lato corrisponde, coerentemente con le intenzioni della regia, al gesto con cui un ricercatore seleziona un microrganismo per metterlo sul vetrino al microscopio, dall’altro lato sembra tradire proprio quella ricerca di pluralità di sguardo e compresenza di diversi livelli di realtà che sono il presupposto del film stesso, sulla base del quale Groning assegna, per esempio, la titolarità di alcuni episodi ad un anziano del vicinato senza alcuna relazione con la famiglia oppure alla volpe che dal bosco si avvicina all’abitato, semplicemente perchè entrambi sono parte del tutto che accade. Allo stesso modo le poche scene di alterco tra i due giovani, chirurgicamente inserite nel mosaico di apparente normalità come fossero tessere di colore diverso, assumono il tono straniato delle simulazioni terapeutiche che avvengono durante gli psicodrammi, rendendo di fatto impossibile una vicinanza emotiva.


Il punto, almeno per come l’ho vissuto io, è che la violenza, anche se presentata in modo antidrammatico, induce inevitabilmente una presa di posizione che a sua volta necessita di trovare appoggio in una dinamica condivisibile dei fatti o almeno in qualche elemento di raccordo col contesto, altrimenti può rimanere frustrata in un moto di partecipazione continuamente frenato. Paradossalmente quindi, la sensazione che rimane è che sia proprio la tematica forte della violenza a rimanere invece in qualche modo subalterna al dispiegamento del disegno teorico e formale del film, quest’ultimo vero elemento dominante che colpisce nel segno e costituisce la conferma del talento di Groning.

 

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