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These Final Hours

Regia di Zak Hilditch vedi scheda film

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La recensione su These Final Hours

di Bebert
7 stelle

Nathan Phillips, Angourie Rice

These Final Hours (2013): Nathan Phillips, Angourie Rice

 

Da subito sappiamo che non c'è che la fine del mondo, a causa della collisione di un asteroide con la Terra. Il nostro pianeta si disintegra e a Perth, Australia, mancano sole dodici ore per la fine. Il regista e autore della sceneggiatura originale, Zak Hilditch ci racconta queste ultime ore in una pellicola a basso costo, non una milionaria produzione. Dalla Terra non partono missili per la salvezza (come in Armageddon, del 1998) e l'umanità resta abbandonata; un'unica voce proviene dalla radio e marca il tempo rimasto e i continenti che sono, uno ad uno, distrutti. La gente sa e ogni individuo si trova, infine solo, a decidere cosa fare in quel tempo che rimane.

 

Avevamo già avuto un assaggio con The Divide (2011), atroce analisi della follia che si consuma in un rifugio antiatomico. Oppure la memoria va ancora indietro a L'Ultima Onda(1977) di Peter Weir, anche lui australiano. Hilditch porta la scena sulla strada e il protagonista James (Nathan Phillips), dopo essere rimasto solo con la ragazza che ama (Jessica De Gouw), fugge verso una festa dove l'aspetta la compagna, diciamo così, ufficiale. Lungo il tragitto scorge scene di panico, omicidi dissennati, suicidi, stupri e scorge una bambina rapita da due pedofili: inizia così, con Rose (Angourie Rice), un viaggio che gli permetterà di prendere coscienza. Molto plausibile la prima reazione davanti alla fine che s'avvicina ed è certa, quasi visibile: James scappa, per un istinto pressoché animalesco.

 

Cosa succede agli uomini? Hanno perso il "governo di sé": in una società che non è basata sull'autosufficienza ma sulla partecipazione dell'individuo al bene comune, lo Stato e le leggi scompaiono. Con la dipartita del Governo, il "potere" che resta è la volontà dell'individuo che, in poche ore, "diviene ciò che é" o meglio, diviene ciò che lo hanno fatto essere. Uno Stato che abitua al saccheggio delle risorse (perché non lo sentiamo veramente presente) ha formato individui egoisti e soli, incapaci di dare un senso alla vita. Droga e sesso per evitare di pensare, il suicidio (preceduto dall'omicidio), si prospettano come uniche risoluzioni. Pochi si rivolgono a Dio, ancor meno attendono serenamente il "fatto" inesorabile.

 

Il regista è acuto: non spreca la virtù della relazione con gli altri, non ci descrive la fine, ci ricorda il fine, che è l'amore come perdono reciproco. E dal groviglio di spinte emotive estrae e condanna l'amore per la morte e recupera quella morale che pareva ormai estenuata.

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