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Sole a catinelle

Regia di Gennaro Nunziante vedi scheda film

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La recensione su Sole a catinelle

di wundt
8 stelle

Perché, ed é la prima domanda da porsi, un cinepanettone, un Pieraccioni, un duetto solitamente idiota, un Brignano, un Siani o un De Luigi più di tanto, alla fine, non incassano? Perché Zalone arriva a cifre a dir poco astronomiche ("Sole a catinelle" chiuderà presumibilmente sui 50 milioni di euro d'incasso)? Semplice, perché fa ridere. Se i cinepanettoni sono sempre uguali, e tutti gli altri potrebbero aver girato i loro film in qualsiasi anno dato la mancanza di contesto, Zalone immerge il suo personaggio all'interno del mondo d'oggi. Qui, ad esempio, fa ridere sbertucciando la crisi economica, gli operai licenziati, e, unico nel panorama italico, riesce a far ridere su temi molto poco divertenti, temi su cui i comici italiani, onde evitare polemiche ad oltranza, evitano con rara sapienza (in "Che bella giornata" osava prendere in giro la religione, i militari all'estero, qui invece prende di mira l'eutanasia, i terremoti, la mancanza di lavoro). E sapientemente costruisce film corti, veloci, snelli, in cui ogni 30 secondi (non di più) appare una battuta, un calambeur lessicale, una situazione divertente, insomma non ci sono tempi morti, chiacchere a vuoto, passaggi estenuanti, si ride per 80' come non succedeva nemmeno coi film di Troisi, Benigni, Pieraccioni e Aldo, Giovanni e Giacomo. E se azzecchi sempre le battute, se indovini sempre i tempi comici, insomma, se fai ridere senza essere volgare (Zalone con "Sole a catinelle" ripulisce molto il suo repertorio), se la stessa battuta riesce a far ridere anche alla terza, alla quarta o alla quinta volta, vuol dire che il film c'é, e solo uno spettatore palesemente snob potrebbe affermare il contrario. Nessuno vuol paragonare Zalone a Totò o Alberto Sordi (chi lo fa sbaglia, ovvio), e parlar bene di questo film non significa non amare il grande cinema: nutro la stessa ammirazione per Fellini e John Ford, così come per Zalone. Ci si muove su due terreni evidentemente diversi: bisognerebbe capirlo. 
Di "Sole a catinelle" poco da dire, è un bellissima commedia impreziosita da grandi caratteristi (come nella più tradizionale commedia popolare all'italiana) e una gradita sopresa: della bravura di Marco Paolini a teatro si sapeva, che possedesse anche il dono dei tempi comici questo no, francamente ci era ignoto. Buono a sapersi. E un paragone, questo sì, il bambino (tal Robert Dancs) é molto più simpatico, meno moccioso e più fotogenico di tanti bambini apparsi sullo schermo negli ultimi anni, da Macaulay Culkin di "Mamma, ho perso l'aereo" a Salvatore Cascio di "Nuovo Cinema Paradiso". E non é poco. Sul personaggio di Zalone (in fondo sempre comicamente uguale) si è già detto e scritto tutto: é figlio dei nostri tempi, ha i nostri stessi punti di forza e i nostri stessi momenti di debolezza, ragioni spesso per pregiudizi e stereotipi ma ha un cuore tenero tenero (già, all'italiana). Chiunque non si ritrovi in questa descrizione probabilmente non é italiano. Non é, come già detto, il nuovo Alberto Sordi, ma anche Zalone incarna lo spirito dei propri tempi, cinismo compreso.
Infine due consigli (non richiesti) a Luca Medici, alias Checco Zalone: eviti di girare un film all'anno, rischierebbe di diventare un'industria, un brand, e non avrebbe il tempo (causa tempi troppo stretti) di scrivere mille battute e tenersi solo le migliori (in questo é grande Zalone, nel tenersi solo le cose più riuscite scartando quelle meno riuscite, ma un film all'anno con questo metodo di lavoro non puoi realizzarlo), quindi ci si vede fra due, al massimo tre, anni; resti sè stesso, scriva commedie semplici ma efficaci, eviti di fare quel che é successo a tutti i comici del passato, cioè essere cresciuti e aver voluto girare il film della vita, quello costoso, quello fatto all'estero, quello che avrebbe dovuto dargli fama da cineasti con la C maiuscola, eviti questa tappa e potrà durare a lungo: le pretese autoriali esageratemente tronfie hanno fatto perdere credibilità a Benigni ("Pinocchio", 2002), hanno distrutto fisicamente Nuti ("OcchioPinocchio", 1994) e stavano affondando Pieraccioni ("Il mio West", 1998). Checco non deve crescere, resti l'eterno Peter Pan del cinema italiano, e svolazzi a media quota, l'altezza, spesso, mette paura.

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