Espandi menu
cerca
Vizio di forma

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Utente rimosso (SillyWalter)

Utente rimosso (SillyWalter)

Iscritto dal 30 novembre -0001 Vai al suo profilo
  • Seguaci 1
  • Post 1
  • Recensioni 115
  • Playlist 29
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Vizio di forma

di Utente rimosso (SillyWalter)
5 stelle

 

 

      Vizio di forma è un film che non cammina. È un brontosauro invertebrato. Ha i suoi momenti divertenti, arguti e ingegnosi (del resto è pedissequamente pynchoniano) ma è del tutto privo di uno scheletro. Due ore e venti di commedia (!) costruita su pretestuosi motivi noir che continuano a cambiare faccia, aprire strade, rivelare doppie identità, introdurre cappellai matti e seminare dubbi. Troppa roba. Troppo Pynchon e poco P.T.Anderson.

 

      "A volte pensavo di essere eccessivamente protettivo riguardo a ciò che (Pynchon) aveva scritto." ~ P. T. Anderson

 

      "Non posso rivendicare alcuna paternità su questo film. È veramente un film di Pynchon. È il suo lavoro, e sono le sue preoccupazioni rispetto a quei luoghi e quel periodo."~ P. T. Anderson

 

      Dalle interviste al regista emerge un atteggiamento fin troppo reverenziale nei confronti dello schivo maestro postmoderno. Anderson si dichiara suo fan, ha sentito la vertigine del compito e l'ha affrontato trascrivendo riga per riga il romanzo di Pynchon prima di (cercare di) snellirlo. È la prima volta che il regista porta sullo schermo l'opera di di uno scrittore affermato (IL PETROLIERE non conta, tanto flebile era l'ispirazione al romanzo di Upton Sinclair) e non solo affronta un autore che non vuol tradire ma un autore e un genere oltretutto riconosciuti come intraducibili in linguaggio filmico. Dà un po' l'idea che P.T. si sia volontariamente privato della consueta libertà forse per cercare una sfida stimolante (che poi sfida non è stata per rispetto della fonte originaria). 

      

 

 

     Il periodo è certamente interessante e ricco. Di spunti ce ne sono fin troppi. Siamo nella California tossica degli anni '70, esaurita l'utopia (post Manson) è rimasta solo la paranoia (e i drogati). E detto così sembrerebbe esserci posto per malinconiche atmosfere noir, se non fosse che questo è un frullato postmoderno: personaggi, idee e modi tipici di un genere servono solo se consentono di sfondare le strutture consolidate, aprendo linee di sviluppo e mondi sotterranei teorici e teoretici, assurdi o minacciosi (i quali, al cinema. risultano un tantino più faticosi da seguire che su carta). La conservazione di delicate "atmosfere" di genere e la profondità dei caratteri non sono mai state le principali preoccupazioni dei postmoderni e qui purtroppo salta all'occhio. 

      L'investigatore confuso dalle droghe che si muove in un ambiente già di suo sfuggente e multiforme (il cui simbolo è "the golden fang", un indizio che continua ad accumulare significati diversi ad ogni angolo) poteva forse fornire spunti visionari e costruire un mondo "a misura di Drugo" come ne IL GRANDE LEBOWSKI. O poteva generare variazioni significative dialogando direttamente con i clichè del noir senza sacrificarne lo spirito, come ne IL LUNGO ADDIO e in CHINATOWN, ma qui non c'è l'intenzione di fermarsi su uno stile e un genere, bisogna continuare a contraddire, allargare e rilanciare.

       L'incertezza e il dubbio qui non sono atmosfera, sono fisicamente ovunque, in ogni traccia e in ogni persona (tutti hanno più lati e più identità: un sassofonista/spia, un poliziotto/attore, un imprenditore tecnicamente ebreo che vuole essere un nazista, una ragazza angelica/masochista), è un'orgia di dubbio infinito: l'unico vero significato ricavabile dall'insieme. I continui cambiamenti di senso (direzione e significato) di ogni elemento non lasciano quasi mai spazio al disegno intimo (e credibile) dei personaggi, i quali finiscono per avere il poco rilievo che spesso li qualifica nelle opere postmoderne (in questo la trasposizione può dirsi riuscita). Agli amanti di Pynchon potrà forse piacere, per quanto mi riguarda diventa ben presto un gioco intellettuale a carte scoperte che non sorprende e si ripete senza creare un percorso emotivo. E di conseguenza anche le scene teoricamente più intense (penso soprattutto a due: una di violenza "risolutiva" e una erotica) sembrano posticce perchè non preparate e costruite per tempo, perchè arrivano da un vuoto assoluto di tensione. E pensare che il noir e gli elementi paranoici avrebbero potuto fornire scenari densi, tesi e minacciosi...

 

 

 

    Ciò che rimane è un film comico sui generis, appesantito da troppe informazioni e deviazioni e da un ritmo dato non dalle esigenze comiche ma dal continuo aprirsi di finestre su finestre. Anderson ha dichiarato di essersi ispirato a L'AEREO PIÙ PAZZO DEL MONDO e TOP SECRET (se gli vogliamo credere...) per cercare di rendere la scrittura gravida, comica e incontenibile di Pynchon. Qualcosa ci può essere ma la mescola e lo spirito generale risultano molto diversi dai film degli Z.A.Z. Ci sono ovviamente poi i tocchi personali (perchè stiamo parlando di un regista-autore), che mirano più che altro a rendere anche visivamente la nostalgia per un periodo ormai andato (alcune scene che coinvolgono Doc e Shasta) e l'enigma del presente (certi momenti criptici...il finale). E non dimenticherei anche la solita ottima cura del commento musicale non certo da "best of '70" in saldo. Forse sono diverse le cose meritevoli di un approfondimento e non dubito che in seconda lettura ci si possa trovare qualche chicca nascosta o anche il senso della vita. Certo è però che mancano lo sguardo colossale e i grandi personaggi immediatamente coinvolgenti degli altri film di Anderson e al primo impatto VIZIO DI FORMA proprio non riesce a coagulare una forma che emozioni.

 

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati