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Due giorni, una notte

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film

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La recensione su Due giorni, una notte

di giancarlo visitilli
8 stelle

Quando neanche le parole sono utili per descrivere la propria condizione. Quella di chi vuole piangere “senza che i bambini mi guardino”. La povertà che mina la propria dignità. Quando sei costretta ad elemosinare a ‘raccattare voti’, per raccogliere consensi, non elettorali, bensì quelli che dovrebbero essere più naturali, di un’umanità che ha perso il senso del viver civile. Il consenso per recuperare quel che resta ancora di un briciolo di solidarietà. In palio c’è la tua vita di donna, di madre, di ex operaia. Lì dove neanche i migliori Job Act possono riuscire a risolvere o a ridarti quello che i padroni ti hanno tolto: il desiderio di tirare avanti… o di farlo, almeno, per il bene di chi hai deciso di far venire al mondo.

Fa star male l’ennesima storia di una fra tante e tanti che in Belgio, in Francia, in Italia come altrove, combattono sotto la cappa cocente di provvedimenti che da noi in Italia hanno un nome preciso e inqualificabile (Fornero). Jean-Pierre e Luc Dardenne, tornano a raccontare noi.

Infatti, la Sandra del film potrebbe essere una qualsiasi donna italiana, fra quelle sulla pelle delle quali, in questi giorni nel nostro Paese, si sta decidendo la sorte. Sandra, che è assistita dal marito, ha a disposizione solo un fine settimana per andare a trovare i suoi colleghi. Deve riuscire a convincerli a rinunciare al loro premio di produzione, affinché lei possa conservare il proprio posto di lavoro.

Il film dei fratelli Dardenne, presentato in concorso al Festival di Cannes 2014, parte da questa semplice idea, per non giungere mai alla fine di una lunga via crucis, la stessa dei milioni di uomini e donne, per lo più giovani, la cui unica prospettiva resta quella di un calvario senza fine.

Quel che maggiormente impressiona, come sempre, nel caso del cinema dei due fratelli belgi, è la credibilità del racconto. Sin dai tempi del bellissimo La Promesse (1996) e poi con Rosetta (1999), le storie dei Dardenne diventano il pretesto per ritornare a riflettere sull’identità e la dignità delle persone. Con Sandra è difficile non provare quell’empatia che certe politiche, anche culturali, stanno aiutando sempre più a dismettere. Si prova grande sofferenza con lei. Insieme si é costantemente pedinati da una macchina da presa che dall’inizio alla fine del film finisce per diventare sempre più famigliare. E’ il cinema che racconta la vita, il quotidiano, l’inferno di ogni giorno. In cui è impossibile non rintracciare il noi.

La narrazione dei Dardenne resta sempre la stessa, dallo stile asciutto ma di un rigore che li caratterizza, evitando la facile retorica o le letture ideologiche, a cui il cinema che ‘parla’ di lavoro o sociale ci ha abituati. Quella dei fratelli Dardenne è etica allo stato puro. Nessun vincitore, tutti per lo più vinti.

Molto credibile anche la stessa interprete di Sandra, Marion Cotillard, capace di rendere anche ‘fisico’ il suo disgusto e il suo stremo nei confronti di un mondo obeso e di una società alla deriva, prostrata solo dinanzi al dio denaro, fautrice di quella disgregazione in cui l’individualità umana è minata e in uno stato, ormai, di coma irreversibile. Il grande merito dei Dardenne, ancora una volta, è di farsi utili narratori di un presente storico, attraverso la descrizione di continue odissee. Dove, però, tutto avviene alla luce del sole, e soprattutto restando “a schiena diritta”. Sarebbe bello pensare ad una visione di questo film nel Parlamento italiano, magari a partire da oggi, che siamo più felici dopo l’approvazione di quel che aveva cominciato la Fornero.

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