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Due giorni, una notte

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film

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La recensione su Due giorni, una notte

di michemar
8 stelle

Se Ken Loach, altro soldato del cinema impegnato europeo, calca la mano sulla coloritura politica dei suoi racconti, i fratelli Dardenne preferiscono soffermarsi sull’aspetto prettamente sociale, a volte perfino intimistico, delle loro storie. Storie di gente comune in battaglia per arrivare a fine mese o addirittura a fine giornata.

La filmografia dei formidabili fratelli Dardenne è una serie di opere amarissime, racconti della quotidianità difficile di gente che deve sopravvivere tra le mille difficoltà che la vita offre loro su piatti di coccio. Mai però la loro arte ha prodotto una storia così dolorosa (forse solo “Rosetta”?), una vera e angosciante via crucis con una preghiera in ogni stazione, in cui l’immedesimata Marion Cotillard dà una prova di recitazione che ricorderemo.

 

Se Ken Loach, altro soldato del cinema impegnato europeo, calca la mano sulla coloritura politica dei suoi racconti, i fratelli Dardenne preferiscono soffermarsi sull’aspetto prettamente sociale, a volte perfino intimistico, delle loro storie. Storie di gente comune in battaglia per arrivare a fine mese o addirittura a fine giornata. Un posto dove crescere un bambino, un lavoro che dia sicurezza al futuro, rapporti balbettanti di coppie insicure, la clandestinità di ragazze immigrate dall’est. Camera in spalla, come nelle faticose 48 ore a disposizione di Sandra, seguono e inseguono gli spostamenti dei loro protagonisti trasmettendoci le loro ansie e le loro speranze disperate. Sandra è una donna fragile, sorretta moralmente e a volte fisicamente da un volenteroso marito che la ama, ma che la bestia della depressione ha portato al tracollo e ha reso inaffidabile il suo rendimento agli occhi del datore di lavoro. Nel breve lasso di tempo del titolo Sandra compie, malvolentieri anche a causa della sfiducia che si è impossessata di lei, una autentica via crucis per salvare il suo posto di lavoro, in cui in ogni stazione deve ripetere ad ognuno dei suoi sedici colleghi operai la litania che si è preparata. Ad ogni tappa il suo morale scende di un gradino e quando tocca il fondo, con il disperato tentativo di farla finita rinunciando definitivamente alla lotta personale, l’inaspettata disponibilità di una compagna di lavoro le dà un insperato slancio di speranza per portare a termine questa impietosa operazione. In fondo, quando si prega un amico, un collega, un parente, si chiede pietà e commiserazione, anche se si cerca di mantenere la dignità necessaria per poter bussare alle porte e guardare negli occhi l’altra persona.

 

Marion Cotillard

Due giorni, una notte (2014): Marion Cotillard

 

Il gesto finale della protagonista, quando i Dardenne scherniscono lo spettatore illudendolo e alludendo ad una svolta positiva, è l’atto supremo di generosità che non ti aspetti e la sequenza che chiude il film è un alba piena di sole: Sandra non è più grigia e avvilita, sul suo viso è comparso il sorriso della fierezza, del coraggio necessario per affrontare la vita così com’è, le sue magre spalle si sono rialzate e il suo sguardo è rivolto all’orizzonte, alla ricerca del suo futuro di mamma, moglie e donna. “Siamo stati bravi, abbiamo combattuto bene!” non è la conclusione: è l’inizio di una nuova vita. Sicuramente qualcuno ha perso in questa storia umanamente terribile, ma è la dignità della persona che viene a trionfare, che ritrova la forza per tornare a vivere.

 

Fabrizio Rongione, Marion Cotillard

Due giorni, una notte (2014): Fabrizio Rongione, Marion Cotillard

 

I due fratelli belgi non amano la retorica e non caricano il loro cinema di enfasi, il loro lavoro è sempre drammaticamente asciutto e perfino senza musica, facile espediente per dar maggior risalto alla commozione del momento. Anzi, quel silenzioso accompagnamento è il più efficace commento che poteva affiancare Sandra nei suoi spostamenti nervosi da una casa all’altra dei colleghi, interrotto solo dalla musica rock dell’autoradio col volume a palla che il marito usa come vitamina per influenzare positivamente il suo umore. La cdp sempre a mano e a ridosso dell’attrice ci fa stare dentro la storia, ci fa sentire l’affanno e il sudore e mostra la evidente e ormai avvenuta multirazziale società in cui viviamo. Non a caso, infatti, i Dardenne hanno scelto che buona parte delle maestranze fossero gente di colore – altro chiaro messaggio di stampo sociale - segno evidente dell’integrazione pacifica che in Belgio sta già avvenendo.

 

Marion Cotillard

Due giorni, una notte (2014): Marion Cotillard

 

Marion Cotillard è strepitosa: magra emaciata, con le spalle scoperte da magliette colorate, capelli costantemente in disordine, sorriso triste che non sorride neanche ai figli. La sua Sandra è le migliaia e migliaia di donne discriminate sul lavoro e nella società, è l’emblema della crisi che viviamo, è l’aspetto più umano possibile del sistema cinico che stiamo vivendo.

 

Non amo il termine “necessario” riferito ad un film, ma questo è veramente grande cinema: è il neorealismo degli anni della crisi postmoderna, che uccide anche la dignità, quella del lavoro.

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