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Due giorni, una notte

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film

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La recensione su Due giorni, una notte

di ed wood
7 stelle

L'ultimo film dei Dardenne è un oggetto bidimensionale. A seconda dei punti di vista, questa caratteristica può essere scambiata per piattezza o per essenzialità. Sta di fatto che, mai come questa volta, il cinema dei Dardenne ha rinunciato ai sottotesti, alle letture stratificate, ai livelli multipli di interpretazione. Di fatto, i film precedenti, dietro la scorza di un asciutto ed anti-retorico realismo incentrato su gravi problematiche sociali, si prestavano ad un'implicita indagine orientata al rinvenimento di legami familiari ideali: la necessità di una paternità putativa nel "Figlio", il rifiuto di quella biologica nell' "Enfant", la maternità ipotizzata nel "Matrimonio di Lorna", quella improvvisata del "Ragazzo con la bicicletta". Sui drammi generati dall'aberrante sistema economico contemporaneo prevaleva sempre la necessità di un contatto umano, il legame filiale/genitoriale (non importa se non biologico) come estrema manifestazione di attaccamento alla vita. Invece in "Due giorni, una notte" nè il testo nè la regia consentono simili riflessioni: la protagonista Sandra è supportata da un marito affettuoso e gli sporadici segnali di crisi di coppia rientrano nell'ordinaria amministrazione. Dal canto loro, i due figlioletti hanno un peso poetico e tematico pari a zero: loro vogliono bene alla mamma; la mamma vuole bene a loro. Il conflitto è quindi integralmente spostato nell'arena lavorativa. Il copione è semplice ma ingegnoso, per come riesce a campionare la working class, rilevandone le variegate ragioni ed attitudini in uno spettro che va dagli estremi della solidarietà incondizionata a quelli del cinico egoismo. L'altra faccia della medaglia consiste nel fatto che, in questo modo, il film finisce per essere fin troppo equilibrato e prevedibile, onesto ma senza picchi espressivi o peculiari chiavi di lettura. E' un "thriller operaio" la cui suspense regge, ma la cui intensità non raggiunge i livelli delle precedenti opere dardenniane. Più che altro, durante la visione, prevale un senso di rabbia, sconforto e frustrazione, per il meccanismo assurdo e vigliacco che scatena una "guerra dei poveri" estenuante: ad ogni collega che incontra, Sandra (una Cotillard brava ma non così eccezionale, in linea con la "aurea mediocritas" di tutto il film) pone la stessa umiliante domanda a tutti quanti, ed è proprio questa ripetitività a generare malessere nello spettatore (un po' la stessa sensazione che si ha nello spedire tanti CV e nel fare tanti colloqui, sempre con lo stesso esito e con la stessa ansia). Manca un po' la poesia del quotidiano in questo film, la parte "desichiana" del cinema dei Dardenne: e non può essere certo una pizza consumata in famiglia o "Gloria" dei Them a tutto volume in auto, a riscattare il film in questo senso. Umile saggio sociologico sugli effetti del neoliberismo mischiato al dramma umano e domestico, "Due giorni, una notte" ha la sua ragion d'essere nella pura, semplice, inconfutabile verità che lascia emergere dalla storia che racconta e dalle immagini che mostra. 

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